A Bergamo matura la seconda sconfitta nelle ultime tre di campionato e la terza nelle ultime quattro uscite ufficiali compresa la coppa. Mazzarri dovrebbe cominciare a riflettere, perché, a prescindere dai risultati, il suo Napoli d’ottobre ha palesato qualche mancanza che sta diventando cronica.
Nonostante lo 0-1 che costa il -6 dalla vetta e pure il secondo posto, allo stadio “Atleti Azzurri d’Italia” non si è visto il Napoli peggiore: gli azzurri hanno persino fatto qualcosa in più rispetto alla gara col Chievo, ma di fronte hanno trovato un’Atalanta incredibilmente motivata e aggressiva, sistemata ottimamente sul terreno di gioco, veloce e tonica. A conti fatti, i meriti dei padroni di casa forse superano i demeriti del Napoli, anche lì dove Consigli si è superato un paio di volte su Insigne e su Hamsik. In particolare, la parata a terra sullo slovacco è stata l’epilogo strozzato di un’azione da manuale, tutta di prima e a gran velocità, a testimonianza che qualcosa ha pur funzionato nel gioco del Napoli. Ma non abbastanza per riacciuffare lo splendido gol di Carmona, anch’esso giunto al termine di una buona trama da parte degli atalantini, che poi hanno dato il massimo per proteggere con successo il vantaggio, fino al fischio finale di Orsato.
Il resto della partita è stato, a dire il vero, più Napoli che Atalanta: in un match condizionato qualitativamente dalla pioggia fitta ma giocato comunque a gran ritmo da entrambe le parti, il Napoli si è affacciato di più davanti alla porta avversaria. L’Atalanta ha provato quasi solo il contropiede, che tuttavia ha generato poche occasioni nitide per il raddoppio, se non quella clamorosa capitata sui piedi di Brivio alla mezzora del primo tempo. Nella ripresa gli azzurri hanno provato ad aumentare il possesso e la pressione, ma l’efficacia della manovra non è cresciuta: anzi, si è commesso spesso l’errore di cercare con troppa fretta la porta di Consigli, affidandosi a conclusioni da fuori area che poco potevano impensierire il portiere atalantino. È questo il sintomo piuttosto evidente di quanto il Napoli patisca la mancanza di un terminale offensivo come Cavani: senza quel riferimento davanti e senza lo spessore tecnico dell’uruguagio, il gioco degli azzurri perde in profondità in modo decisivo.
La sterilità offensiva del Napoli ha spinto Mazzarri a provarle tutte, ma producendo troppo caos tattico: Dzemaili al posto di Behrami ha privato gli azzurri dell’unica diga davanti alla difesa – e in tal senso sarebbe stato meglio togliere un Inler poco brillante; poi, l’ingresso di Mesto al posto di Gamberini ha modificato il modulo, trasformandolo in un 4-4-2 ma lasciando il nuovo entrato sullo stesso lato di Maggio. Dapprima è stato Mesto a giocare avanzato, pur avendo doti offensive meno spiccate del collega di fascia; poi si sono trovati ad avanzare insieme e pestarsi i piedi. A questo punto Mazzarri ha risolto la confusione togliendo Dossena e spostando Mesto a sinistra, e con l’ingresso di Vargas è passato al 4-3-3, ma la squadra è rimasta confusa dai troppi spostamenti e ha faticato a creare gioco. Dalla forza di volontà e dai calci piazzati sono arrivate le ultime due occasioni, sulla testa di un Maggio che protrae amaramente il suo momento negativo.
Non solo Maggio è fra i bocciati di questa trasferta a Bergamo. Come avevamo paventato, Dossena è stato impalpabile, del tutto fuori condizione. Brutta prova anche per Inler, che invece contro il Chievo era sembrato in crescita. Male anche Pandev, in grosso calo come Maggio, e non bene Insigne, meno incisivo di quanto ha dimostrato di saper essere, e votato più al dribbling (di troppo) che all’assist. Nel complesso, bene la difesa, e come al solito è stato Hamsik a caricarsi la squadra addosso, pur senza esito.
Per Mazzarri, insomma, c’è da lavorare. Anche se a Bergamo la sua squadra non ha sfigurato, ed è stata in fondo poco fortunata, bisogna recuperare la condizione di alcuni giocatori, anche importanti, un po’ smarriti. E ritrovare, come squadra, la voglia di vincere, la concretezza sotto porta e la cattiveria agonistica perdute, e magari quell’autostima e consapevolezza di sé che il Napoli d’inizio stagione sembrava aver finalmente maturato, per fare quel salto decisivo che manca per essere una grande.
A cura di Lorenzo Licciardi
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