Certificato di nascita alla mano, la perderebbe tre a uno. Ma ci sono i rinforzi, i cinquantamila o quasi del San Paolo. La sua gente. Un popolo intero. Lorenzo Insigne marca il territorio. Issa la bandiera della napoletanità. La sventola. Unico scugnizzo in campo contro un tridente romano. Lui di qua, Florenzi, De Rossi e Totti di là. Avversari e rivali. Pure se poi, in fondo, tutti un po’ azzurri. Anche loro. Fratelli d’Italia. Nazionali di ieri oggi e domani. Napoli-Roma sul campo. Il sabato di un villaggio triste nel ricordo di chi non c’è più. E che però sembra fatto apposta per stringersi e stare insieme, unirsi nei valori dello sport e nelle giocate dei più talentuosi. Nello spettacolo. Nei gol. All’attacco, quindi. Ma non troppo. Lorenzo Insigne il top player dell’equilibrismo tattico. Largo sulla trequarti, a sinistra, taglio e tiro. Esplosivo e creativo. Tanti assist e qualche gol. Punta esterna di ruolo. Però anche ala tornante. E terzino se serve. Fiato da gestire e gambe da far andare veloci. Sempre. Insigne accorcia, raddoppia, fa la diagonale. Si sacrifica. Su e giù per la fascia. Con l’ansia di chi deve segnare, ma pure proteggere chi gli sta dietro e un po’ anche se stesso… Il ballottaggio con Mertens il tormento e tormentone. L’assillo fino a un’ora prima di scendere in campo. Il sondaggio perennemente da aggiornare. Insigne la metà più uno dell’ultimo exit pool di formazione. Gioca lui: certo, certissimo, probabilmente. Decide Benitez dopo aver consultato il cuscino, come sempre. Ma è la sua partita. Da napoletano. E la sente. Il derby ch’era del sole e che ora ha troppe nuvole. Il ricordo di Ciro Esposito un velo di angoscia che avvolge e soffoca. Una stretta al cuore. Un morso alla lingua. «Non ho voluto parlare per rispetto di Ciro». Quel silenzio, in piazza nel ritiro di Dimaro, fu motivato col sentimento. Il cuore di Insigne al di là delle polemiche, il nervosismo e le cosette banali del mestiere. Lui, Insigne, il napoletano vero, era ai funerali di Ciro quel giorno a Scampia, stritolato nella morsa dell’afa e del dolore. «Non si può morire per una partita». Non si può. Un oltraggio alla passione, al sogno di chi sta in curva, all’essenza della felicità fanciullesca. E allora il calcio giocato e soltanto quello, il modo migliore per onorarlo. Ciro dipinto nei colpi di genio. Nelle carezze al pallone. Nei tocchi dei fuoriclasse. Anche degli avversari. Idoli. Del Piero il mito da ragazzino, Totti il riferimento attualmente più alto. Ha la “10” che Insigne mai potrà vestire. Indisponibile! Ha vinto lo scudetto con la maglia della sua città. E ha la fascia da capitano al braccio. «Lorenzo, sarai per noi quello che Totti è per la Roma». De Laurentiis ne profetizzò il destino firmando il nuovo contratto. Attaccamento, fedeltà e legame ai colori. Il resto è nei piedi. E’ nella testa. E’ in quella voglia che è uguale per tutti: vincere, far gol, essere decisivi. Soprattutto esserci. In campo. Nella formazione. Insigne ci spera. Si scalda. C’è. Per lui è una partita diversa.
Fonte: Corriere dello sport
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