C’è qualcosa di profondo, dietro l’affetto immediato e un po’ irrazionale che in città ha circondato Rafa Benitez e il suo nuovo Napoli. Se ci pensate, non era poi così ovvio. Una squadra che viene da un secondo posto e da un ciclo che ha consacrato l’uscita da un tunnel lungo e doloroso, un vero e proprio calvario che ha fatto vivere campi polverosi e magliette sbiadite, disagiati viaggi in pullman e panini consumati su piazzole di autogrill; la perdita di un centravanti che aveva fatto balzare i cuori in petto oltre cento volte, (quasi) mai nessuno come lui; un modulo consolidato e intatto da Reja a Mazzarri che viene stravolto e rimodellato, con esiti incerti. Insomma, una strada che aveva dato soddisfazioni cambiata con una svolta radicale, una curva dietro la quale non si riesce a capire quanto sia distante il traguardo. Altro che festeggiare: c’era da essere molto preoccupati.
E invece raramente un allenatore e un plotone di nuovi acquisti sono stati accolti, a queste latitudini, così calorosamente. Come mai? La risposta a questa domanda forse ha anche qualche radice di ordine culturale.
Una cosa che non ci siamo fatti mai mancare, noi napoletani, sono state le dominazioni. A intervalli più o meno regolari, bellicosi popoli hanno deciso di approfittare della favorevole posizione portuale e commerciale nonché dell’invidiabile fertilità della terra impadronendosi del territorio. La natura ospitale della città, oltre all’innato ottimismo che portava il popolo a pensare erroneamente che ogni nuova dominazione sarebbe stata senz’altro migliore della precedente, hanno fatto sì che assai di rado le invasioni fossero cruente. Molte presenze sono state passeggere, e hanno lasciato poche tracce. Tra le più permanenti, e radicate, la spagnola, che durò esattamente due secoli tra il Cinquecento e il Settecento.
Se venite a fare due passi in città, scoprirete che lo spirito napoletano è ancora oggi in larga parte spagnolo. Il centro della città corrisponde nella sostanza a come fu tagliato dagli architetti al seguito dei dominatori, e il fatto che la via principale si chiami Toledo e costeggi appunto i Quartieri Spagnoli, da sempre il cuore del centro, ne è la prova. E la lingua porta i profondi segni di quel tempo, per cui il nostro “abbascio” è molto più vicino ad abajo che a “giù” e mangiamo con la “cucchiara”, simile alla cuchara più che al cucchiaio.
A proposito di mangiare, l’utilizzo del porto come luogo di incontro con le colonie americane portò in quei due secoli sulle tavole napoletane ingredienti come pomodori, patate, peperoni, cacao, tacchino, in corrispondenza con un incremento demografico che portò la città a essere il maggior agglomerato urbano del Mediterraneo. La Spagna e la lingua spagnola nel sangue, nella cultura, nell’identità: profondamente radicate nello spirito dei napoletani, idealmente conterranei in orizzontale degli iberici e dei latinoamericani, più di quanto siano con i più vicini austriaci o coi tirolesi, per fare qualche esempio.
Ecco perché immagino con un sorriso la piacevole sorpresa di Callejon, Albiol, Reina e soprattutto del mister Benitez quando, guardandosi attorno, non si sono sentiti poi così lontani da casa. E immagino anche che gli ispanofoni Higuain, Armero, Zuniga sentano meno la nostalgia delle loro terre così lontane, in mezzo a gente che pensa, parla e mangia come a loro stessi viene naturale.
Naturalmente tutti ci auguriamo che questa vicinanza faciliti il processo di integrazione. Non è un caso che la storia del calcio abbia visto argentini e brasiliani in maglia azzurra così dentro l’anima e il cuore dei napoletani, tanto da scegliere, come nel caso di Sallustro, Vinicio, Canè e Pesaola, di rimanere a vivere in quel luogo difficile e complesso che li aveva esaltati, amati e coccolati fin dal primo giorno. Non devo poi certo ricordare quale altro argentino abbia un posto speciale nel cuore di ogni partenopeo. Mai però come adesso è la Spagna stessa a essere venuta, in forma di allenatore e spina dorsale della squadra, a formare e sostenere l’ennesimo sogno di grandezza; una Spagna che ha saputo diventare, a forza di coppe e titoli europei e mondiali, la prima potenza del calcio mondiale.
Li amiamo già, e tanto: speriamo che ci ricambino, Benitez e i suoi ragazzi, con un po’ di quella pozione magica che li ha resi vincitori dovunque. Noi sapremo rendere l’eventuale vittoria assolutamente indimenticabile, la più grande di tutte: nel caso, questa sarebbe la più piacevole, gloriosa e indolore invasione di tutti i tempi.
Maurizio De Giovanni
Fonte: il Corriere dello Sport
La Redazione
M.P.
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