E poi si son messi a contar le stelle, lasciandosi cullare dall’onda anomala, dal dondolio lieve: la testa tra le nuvole e, nello sguardo, l’orizzonte sconfinato della gloria e il timore umanissimo della delusione, il valzer delle ipotesi racchiuse nel nulla, in quel gorgheggio stimolato dalla musica a palla dall’invasione di cuffiette, nella divagazione per sconfiggere – intanto – la noia. Il cielo è ormai sempre più blues e le due ore e mezza che mischiano il tormento con l’estasi, lasciano che a decollare sia pure la fantasia, dolce o malefica, elettrizzante o devastante: chi può dire che giorno sarà domani?
SI PARTE – Big ben ha detto vai e alle dieci e un quarto d’un mattino radioso, con il sole che bacia i «belli», Napoli è laggiù sveglia, scossa, adrenalinica, un cocktail d’emozioni che galleggiano pure intorno ai diecimila metri del volo AZ8048, il microcosmo in cui implodono le sensazioni più personali degl’idoli d’una città intera, ormai perduta nei propri pensieri concentrati a Stamford Bridge, lo spartiacque tra il Paradiso e l’Inferno ch’è il passaporto per accomodarsi poi sull’ottovolante del gotha del calcio europeo, l’elite d’un mondo improvvisamente spalancato dinnanzi a sé.
POSTI A SEDERE – I riti restano rigorosamente invariati, non sia mai detto, e si riparte da ciò ch’è stato del recentissimo passato, di quei blitz andata e ritorno da Manchester a Monaco e poi sino a Vila-Real, restando aggrappati alla propria seggiola, alle rispettive convinzioni, alle liane della scaramanzia che hanno trascinato sino a Stamford Bridge, ch’è il confine della realtà affrontato da Mazzarri standosene con lo sguardo perso dall’oblò della fila 1, stropicciando i giornali e uno stress che stavolta non ha valvole di sfogo nelle decine di sigarette vietate dalla legge.
APPLAUSI – Il giro del proprio mondo è una toccata e fuga avvolta nell’incognita da risolvere in campo, una spedizione da preparare seguendo il richiamo delle proprie origini, magari sorseggiando il mate – quell’infuso argentino – che Lavezzi e Campagnaro, accomodati uno a fianco all’altro, condividono tra una risata contagiosa del Pocho e le rispettive rievocazioni delle «loro» Nazionali, tra la descrizione del vissuto e la vaga interpretazione del futuro che li attende e che Zuniga, un mattacchione, affronta affogando nella musica per le sue orecchie sopraffatta – d’incanto – da una voce discreta e però decisa che irrompe in quel silenzio. « Buongiorno, sono Andrea Gioia ». Nomen omen, perché è qui la festa, in questa dimensione insospettabile conquistata prendendo a pallate i pronostici, liberandosi del Manchester City e del Villarreal e di qualsiasi altro pregiudizio, e ora che Londra è prossima, a un’ora e mezza dalla conquista, misurando le parole, sprigionando cautela, un messaggio d’amore va inviato: « Sono il comandante Andrea Gioia. Volevo semplicemente salutare i calciatori del Napoli, attesi da un appuntamento importantissimo. Lo staff che vi riporterà in Italia, al termine della gara, sarà lo stesso con il quale state procedendo verso Gatwick: speriamo di poter festeggiare al rientro ».
CHE FACCIAMO?- L’autocontrollo è di chiunque, degli sponsor che stanno nella pancia di quell’aereo, e dei tifosi eccellenti che sono invece verso la coda: e l’applauso di gratitudine per quella carineria dura un istante, forse un tentativo cortese per non irritare la sorte, per non andarla a sfidarla con un ottimismo da infilare nella stiva. Chelsea-Napoli è però un ago conficcato nella pelle, uno spillo che entra nella carne e comunque un generatore di corrente elettrica da evitare «sfogandosi» con i computer, con i giochini, come fanno Cannavaro ed Aronica, Gargano e Britos, oppure esorcizzando la tensione d’una vigilia infinita con una scarica di battute ironiche che De Sanctis diffonde intorno a sé, in quello spazio in cui c’è solo desiderio d’impresa.
IO DORMO – Il tic tac dell’orologio annuncia l’evento, è un lento piano d’avvicinamento che può consumare o scatenare, oppure lasciar indifferente, o spingere all’isolamento o addirittura anestetizzare: il Chelsea poi verrà e tornarci adesso, e poi rielaborarlo ancora, rischia di trasformare l’attesa nell’ossessione che Edinson Cavani governa lasciandosi andare ad un sonnellino gustoso, la scorciatoia per evitare qualsiasi tentazione d’analisi a priori e pure l’alternativa per staccare la spina, per dimenticare, semplicemente per riposare, due posti più in là di Pandev, immerso nella lettura della biografia di Ibrahimovic, una sorta di testamento da leggere e diffondere. Si gioca, e vabbè, accadrà tra un po’, perché Londra è ormai prossima, accogliente e illuminata (d’immenso), persino mediterranea e quel panorama mozzafiato induce a trattenere il respiro: oddio, la Champions, è dietro gli occhialoni da professore di Hamsik, defilato e distante, taciturno e riflessivo. Essere o non essere, ma che bel problema!
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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