Trentotto giorni senza Ciro e senza neanche più l’idea – avvertita come un’utopia – che potesse verificarsi il miracolo, che quel tre maggio si trasformasse semplicemente come un incubo o un diabolico disegno buffo del destino. Trentotto giorni senza più la speranza d’un cenno, d’un segnale d’una macchina che parlasse a modo suo e indirizzasse un messaggio incoraggiante per specchiarsi poi in quel sorriso ch’è rimasto sospeso nella memoria d’ognuno di noi, in quello sguardo radioso e nell’espressione solare delle gigantografie. Trentotto giorni con gli occhi spenti d’una madre-coraggio da scolpirsi dentro, in quella donna che, «come una Maria» , per dirla alla De Laurentiis, ci ha scavato nell’anima e nella coscienza e le ha segnate, insegnando a domare il dolore e ad evitare d’inseguire le vendette di un odio cieco che pure s’avvertiva. «Nessuna violenza, solo giustizia» .
E’ PER CIRO. Però poi ci hanno spiegato che la vita continua, un pallone che rotola verso l’ignoto e che va afferrato, simbolicamente raccolto a sé, per piantargli dentro un fiore, per intrufolarci un seme e sperare che germoglino nuovi sentimenti, un altro calcio e pure un’altra società civile. Trentotto giorni attraversati pure nei luoghi comuni, dimentichi talvolta d’una vita spazzata via dalla delinquenza e dal marciume, inchiodati su una Scampia conosciuta solo attraverso il buco della serratura: certo che c’è il degrado e la violenza e la camorra, e però c’è pure la gente perbene, una famiglia che ha resistito alla più devastante tragedia che si possa avvertire nella pelle, e che ha trasmesso l’altra faccia d’un quartiere, trascinandoci con sé non soltanto nella composta sensibilità d’Antonella Leardi ma più universalmente negli Esposito, il nome in codice d’una città (d’un quartiere) difficile e però vibrante di quella umanità d’una famiglia gigantesca tra tanti nani che siamo noi.
BENEFICENZA. Si gioca con Ciro Esposito, ancor più che per Ciro Esposito, e l’ha voluto Aurelio De Laurentiis, costruendo intorno a quel tormento esistenziale che dal tre maggio è montato dentro e che dal venticinque giugno è, maledizione, esploso, un progetto che intenda rappresentare il “Sogno” d’una realtà migliore: semplicemente, è “Fratellanza italiana calcio”, tangibilmente è un albero piantato nel cuore di Scampia, devolvendo l’incasso di Napoli-Paok affinché si proceda, e concretamente, intervenendo nelle scuole e nelle palestre e nell’humus e nella testa di chi va allo stadio, magari lasciandosi guidare dalla maestosità di mamma Antonella, una luce in fondo al buio di questi trentotto giorni e di quei cinquanta vissuti pregando affinché qualcosa succedesse. «Mi ha chiamato De Laurentiis e mi ha chiesto cosa volessi fare con i soldi di questa partita. Ho pensato a Scampia, ci sono ragazzini da aiutare. E il 2 novembre, con la commemorazione dei defunti, non si dimentichi. Quel giorno, chi andrà al San Paolo per Napoli-Roma, lo faccia con un fiore in mano» . Per Ciro.
Fonte: Corriere dello Sport
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