Decisamente: affinché si (ri)costruisca rapidamente, evitando che le crepe s’allarghino e dentro s’infili, subdola, un’invisibile nemica da affrontare. Il Napoli che va alla riconquista di se stesso e di quella città emotivamente travolta da una crisetta di nervi è un’espressione concreta che ha scelto il profilo basso e un patto tra galantuomini: perché alla seconda di campionato, pur nelle incontestabili difficoltà emerse, non si possono annidare i rischi di demolire una stagione e pregiudicare un progetto (con la sua storia), semmai si scorgono le cause d’un malessere che ha prodotto effetti fuorvianti ma controllabili attraverso cinque mosse.
SINDROME CHAMPIONS . La «vedovanza» della Champions, dopo l’eliminazione nella doppia sfida con l’Athletic Bilbao, è uno stato d’animo collettivo, una sorta di «catastrofe» ambientale che s’è abbattuta non solo nella coscienza d’una squadra convinta di averne legittimamente il diritto tecnico-tattico di viverla, ma soprattutto in quella Napoli disillusa e alla quale è stato strappato il sogno.
Però la vita continua e De Laurentiis e Benitez, nell’amarezza per l’eliminazione, hanno (già) richiamato e continueranno a farlo, alla consistenza di obiettivi non trascurabili, alla possibilità di ripetere la stagione dei record – e semmai di migliorarla – e di dover non solo concentrarsi sul campionato ma anche di inseguire l’Europa League, la supercoppa e la coppa Italia.
Però la sfida del San Mamès pare non essere mai finita e lo ricorda il chiacchiericcio popolare ch’esprime il disappunto e che il Napoli sente di dover tacitare.
MALESSERE MASCHERANO. Il mercato s’è chiuso eppure resta un tormento e anche un tarlo, dà l’impressione di rappresentare una dimensione eccessivamente limitativa delle ambizioni di sei milioni di tifosi sparsi nel mondo: ma la scelta (e la strategia politico.economica che l’ha ispirata), ha mirato a tutelare il bilancio, a prevenire piuttosto che dover poi fronteggiare una cura futura e tra le pieghe di quel trimestre confuso, attraversato deambulando intorno al vuoto, ha avuto un ruolo la solidità d’una squadra edificata dodici mesi fa attraverso un centinaio di milioni di euro, gran parte di quali arrivati dalla cessione del Matador Cavani al Psg.
FACCIAMO PACE. La ribellione rumorosa del San Paolo di domenica, segnata anche dalla presenza di striscioni polemici, ha raggiunto cime mai così tempestose e la sconfitta con il Chievo ha amplificato la delusione e divenuto un detonatore.
L’era De Laurentiis, nel suo decennio complessivo, in quell’evoluzione così imponente nel passaggio rapidissimo tra entità resa astratta dal Fallimento e l’autorevolezza riconosciuta dal ruolo di protagonista del calcio europeo, ha finito per alimentare ragionevoli aspirazioni, poggiate su un dialogo talvolta distante ma da ritrovare infilando la testa in quell’ambiente da riscoprire come alleato, secondo il codice-Benitez, perlatro già raccolto prima del triplice fischio di domenica: «Bisogna viaggiare spalla a spalla e soprattutto nelle difficoltà».
CALCIO VERTICALE. Gli esempi non mancano ed è da lì che il Napoli vuole riemergere: dalla sua capacità di far calcio offensivo, semmai anche condendolo con errori che appartengono alle umane deficienze; riconoscere l’allegria della giocata verticale, il possesso e la profondità; saper correre innanzitutto in avanti e, quando occorre, pure all’indietro. I brani d’un football europeo, presente nelle corde d’un gruppo che ha segnato centoquattro reti: ed era solo l’anno scorso.
AVANTI HOMBRE. Il terzo posto, la coppa Italia, la Champions a livelli d’estasi appartengono al patrimonio tecnico d’un gruppo che ha cambiato quasi niente: ha uno Zuniga in più, adesso, un Koulibaly per Fernandez, certo non lo stesso Albiol ed un Rafael che con il talento punta a sopperire alla mancanza di personalità ch’era in Reina, poi è tutto immutato, almeno nei fab fuour, chiunque loro fossero. E’ dunque il prodotto naturale di risorse interne che non sono state né ritoccate, né stravolte: semmai non irrobustite lad dove esistevano le palpabili esigenze.
Però il Mondiale ha provveduto a variare la preparazione e il San Mamés ci ha messo del suo nell’inaridire Napoli: gira e rigira, si finisce sempre là, in quel cono d’ombra che s’allunga su una stagione intera. E la domanda che sorge per intravedere l’alba dei nuovi giorni, nel Napoli che s’interroga, è: ma alla seconda di campionato può già essere tutto finito?
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