Nelle ultime settimane si è fatta sempre più frequente la notizia del possibile addio di Dries Mertens. L’attaccante del Napoli, in scadenza di contratto, è in trattativa con l’Inter e potrebbe lasciare il club di Aurelio De Laurentiis dopo sette stagioni. Sette lunghissimi anni in cui all’ombra del Vesuvio sono arrivati dei calciatori fortissimi, suddivisi in diverse generazioni: su tutte, quella del 1987 che si è prima imposta come spina dorsale della squadra, che ha poi guidato quella del 1991.
I SENATORI
Il Napoli nella stagione 2013, grazie all’apporto di Rafa Benitez in sede di mercato, vide arrivare Pepe Reina, Raul Albiol, José Callejon, Dries Mertens e Gonzalo Higuain. Una splendida pila di giocatori che, uniti alla saggezza di Marek Hamsik e al talento di Lorenzo Insigne, hanno rappresentato il nucleo di una nuova squadra, ricca di stimoli e voglia di diventare una realtà in Europa così come lo era in Italia. Si trattava di giocatori alla ricerca di nuovi stimoli, bistrattati dai loro club: gli ex Real Madrid sono stati venduti per finanziare parte della spesa dell’acquisto di Gareth Bale, mentre Pepe Reina ha visto concludere la sua esperienza al Liverpool dopo otto stagioni e un deludente settimo posto. Insomma, c’erano tutte le componenti per creare un gruppo con gli attributi: sostanzialmente “scarti” di Real Madrid e Liverpool, due dei migliori club al mondo, uniti sotto la guida di un Re di Coppe.
QUELLI DEL 1991
Le sessioni di mercato successive hanno arricchito la colonna portante con giocatori più giovani, bisognosi di una guida che non li facesse naufragare: Jorginho, Ghoulam, Koulibaly e Allan si sono uniti a Lorenzo Insigne, l’erede alla fascia di capitano di Hamsik. Benitez ha posto le basi e Maurizio Sarri li ha plasmati in modo che diventassero una macchina da guerra perfetta, tanto bella quanto pericolosa. Tuttavia, tolto Allan arrivato con Sarri, questi giocatori non hanno mai dimostrato appieno il loro effettivo valore sotto la guida dell’allenatore spagnolo. Complice soprattutto un modo di giocare troppo squilibrato: difensori centrali lasciati senza la protezione di una diga a centrocampo; Jorginho spesso solo nella morsa dei fitti centrocampi delle squadre italiane; un Ghoulam incapace di attuare la regola del fuorigioco e di effettuare correttamente una diagonale difensiva; senza dimenticare Insigne, capace di segnare al massimo tre gol in un intero campionato di Serie A. Ma, nonostante ciò, in un anno solare arrivarono due trofei, la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana: solo altre due volte i partenopei ci sono riusciti, entrambi con Diego Armando Maradona nell’anno dei due Scudetti.
L’ARRIVO DI SARRI
L’arrivo di Maurizio Sarri ha stravolto il modo di pensare di calcio a Napoli. L’addio di Benitez si è consumato con il rigore sbagliato da Higuain contro la Lazio dopo una splendida rimonta, resa vana anche dagli errori individuali, come per esempio l’espulsione di Ghoulam per un inutile fallo a centrocampo. Due stagioni condite da spettacolari partite (Wolfsburg, Borussia Dortmund, Juventus…) e disfatte incredibili (Atalanta, Verona, Parma, Dnipro…), due trofei vinti e tantissimi rimpianti. Per quello che poteva essere e che non è stato. Sarri riuscì a convincere Higuain (su cui si potrebbe scrivere un libro per il suo stato emotivo nelle partite decisive) e acquisì due soldati come Hysaj e Allan per fare la guerra alla Juventus. Ma è l’addio del Pipita che ha consegnato il Napoli alla storia del calcio. Come si può rimpiazzare il centravanti più forte del mondo, autore del record di gol in Serie A? Il club partenopeo decise di investire sul futuro, e di dare a Sarri dei giocatori che riuscissero a tenere il ricambio generazionale che prima o poi si dovrà affrontare.
OBIETTIVO: FARE LA STORIA
Higuain alla Juventus servì come stimolo per i giocatori e l’allenatore, il quale decise di fare necessità virtù: senza un top player, bisogna affidarsi al collettivo. Mandare in gol più giocatori possibili in tutti i modi possibili. Bisogna vincere e bisogna farlo come Cristo comanda. Dominando e imponendo la propria proposta di gioco in qualsiasi campo, dal Santiago Bernabeu di Madrid al Vigorito di Benevento. Nella seconda stagione di Sarri si vide la sublimazione del suo operato, l’elevazione massimale di giocatori che fino a quel momento erano stati solo buoni o ottimi. La sfortuna nei sorteggi delle Coppe, unita all’inesperienza di alcuni elementi della squadra, poco pronti a lottare per vincere il campionato e l’infortunio di Arkadiusz Milik nel mese di ottobre, hanno condizionato parecchio la stagione 2016/17. Ed è l’anno dopo che avvenne l’inevitabile: il patto-Scudetto. Concentrare ogni tipo di energia, fisica e nervosa, nella lotta contro la Juventus per la conquista del campionato e certificare con un trofeo le stagioni disputate ad alti livelli negli ultimi anni. Il Napoli, dunque, iniziò a essere molto più cinico e concentrato rispetto al solito. I senatori cominciarono ad avere una certa età e quelli del 1991 erano nel pieno della loro maturità calcistica: arrivò dunque il momento di fare la storia.
LA FINE
Il Napoli diede battaglia fino a fine stagione e riuscì a vincere lo scontro diretto a Torino contro la Juve. La settimana successiva, però, arrivò la ghigliottina: il successo dei bianconeri in casa dell’Inter con gli orrori di Orsato e la sconfitta dei partenopei contro la Fiorentina, tagliarono definitivamente la testa di una squadra che aveva espresso il miglior calcio in Italia e uno dei migliori in Europa nelle ultime stagioni. Allo splendido divertimento della stagione precedente, i calciatori impararono anche a essere cinici e capire i momenti della partita, riuscendo spesso e volentieri a portare a casa i tre punti segnando solo un gol. La fine di una bellissima storia e l’inizio di un ciclo con allenatore e giocatori nuovi. O forse no.
IL CANTO DEL CIGNO
L’arrivo di un big sulla panchina come Carlo Ancelotti, portò la società a confermare quasi totalmente il blocco degli anni precedenti. Una scelta poi rivelatasi non molto azzeccata. I calciatori, stanchi e con il solo stimolo della Champions League, terminata anzitempo per l’ennesima uscita nella fase a gironi, andarono avanti per inerzia in campionato, mentre in Europa League arrivarono ai quarti contro l’Arsenal. Obiettivamente, gli azzurri erano una delle migliori formazioni di quel torneo, al pari dei Gunners e del Chelsea, allenati da Maurizio Sarri. Quelle due partite, però, certificarono un aspetto: il Napoli non esisteva più. L’Arsenal riuscì a superare agevolmente gli azzurri, con un punteggio aggregato di 3-0. Zero gol segnati, tre subiti, sottomissione dal punto di vista tecnico e mentale. E, intanto, durante l’estate Pepe Reina si accasò al Milan, Jorginho seguì Sarri al Chelsea, Hamsik emigrò in Cina a gennaio e Albiol scelse il Villareal a fine stagione, per concludere serenamente la propria carriera. Una squadra smontata pezzo dopo pezzo, come una lunga agonia, mentre restarono senza rinnovare il proprio contratto Dries Mertens e José Callejon.
IL NAPOLI NECESSITA DI UNA RIVOLUZIONE
Le notizie dei possibili addii di Mertens e Callejon, unite alle voci di mercato che vedono lontani da Napoli anche Koulibaly e Allan, fanno venire una domanda in mente: è stato giusto portare avanti un progetto evidentemente morto? Tutti i giocatori precedentemente menzionati hanno vissuto il loro picco nell’ultima stagione di Sarri. Con l’addio del tecnico toscano, forse sarebbe stato meglio sostituire le colonne della squadra con calciatori altrettanto bravi ed esperti il giusto, come durante il mercato dell’estate del 2013. Senza fare troppo affidamento su giocatori poi rivelatisi inadatti come Marko Rog, Adam Ounas, Amadou Diawara, Simone Verdi. Rivoluzione non è sinonimo di ridimensionamento, ma porsi degli interrogativi in questa fase è lecito. Perché il Napoli ha già acquistato Rrahmani, Demme, Lobotka, Politano, Petagna. Funzionali al gioco di Gattuso, alcuni già arrivati e altri in attesa della fine della stagione per iniziare questa nuova esperienza. Ma che, francamente, sono nettamente inferiori ai vari Koulibaly, Allan, Callejon, Mertens. Quali sono le reali intenzioni del Napoli? L’estate scorsa i giocatori top in orbita Napoli erano quelli di Icardi, Pépé, James Rodriguez, Lozano. Alla fine è arrivato il messicano, l’acquisto più pagato della storia del club azzurro. Il suo ruolo ideale è l’ala sinistra, occupato dal capitano, Insigne. E dunque, potrebbe spostarsi a destra, ma quel posto è ancora occupato da Callejon. Lozano è stato travolto dal frullatore che è stato il Napoli questa stagione, non sarebbe opportuno valutarlo date le cose che sono capitate. Tuttavia, è strano che un giocatore pagato oltre 40 milioni di euro non veda mai il campo e, in più, che gli venga preferito Politano, arrivato sotto consiglio di Gattuso nel mercato di gennaio.
C’è stata confusione, è evidente: il secondo anno di Ancelotti doveva essere la migliore stagione della storia del Napoli. E’ finito per essere un flop clamoroso. Confusione sul mercato, squadra costruita male e un feeling non sbocciato con i giocatori, alle prese anche con le diatribe con la società. Gattuso ha normalizzato la situazione, ha scelto di fare due passi indietro per farne tre in avanti: in un pessimo momento ha scelto di vestirsi da provinciale, conquistando i punti che dessero fiducia a un gruppo in quel momento inferiore a una miriade di squadre. Successivamente, ha iniziato a praticare la sua filosofia di gioco e a collezionare vittorie importanti, come con la Lazio in Coppa Italia o contro la Juve in campionato. Il Napoli, però, dovrà scegliere se vuole diventare una squadra normale, compiere il salto di qualità o mantenersi semplicemente ad alti livelli, in attesa di nuovi exploit dovuti alla combinazione dei Benitez e dei Sarri di turno. Le prospettive di mercato, finora, hanno presentato giocatori funzionali al gioco del suo allenatore, ma di qualità inferiore rispetto a quelli del passato.
Nico Bastone
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