Affidarsi agli indizi è indispensabile per azzardare previsioni. Funziona così anche nel calcio, non solo nelle indagini poliziesche. E allora, per rispondere all’interrogativo: dove può arrivare questo Napoli? tocca avventurarsi in un’analisi empirica, però, più che scientifica. Partiamo da una certezza: sarà il campionato più equilibrato degli ultimi decenni, lo conferma il fatto che dopo un mese ci siano quattro squadre a punteggio pieno (mettiamoci anche la Samp di Ciro Ferrara, grande sorpresa nonostante il punto di penalizzazione). E il particolare che tra le quattro non figurino né il Milan né l’Inter, oltre alla Roma vittima di tentazioni sportivamente suicide, è un ulteriore argomento a sostegno della tesi. Questa settimana ne sapremo molto di più anche sulla Juventus: l’anno scorso beneficiò della mancanza di distrazioni europee, stavolta il piacere di ritrovare le nobili avversarie della Champions potrà avere un peso più psicologico che fisico. Parte da Londra il suo giro d’Europa, dalla sfida con i campioni in carica del Chelsea, il peggior debutto possibile, ma forse il più indicativo per valutare forza e aspirazioni. Poi c’è la Lazio, immagine della concretezza espressa dai volti di Petkovic e Klose, mente e braccio di una squadra che non è lì per caso, ma che – chi sa perché? – non raccoglie consensi unanimi. Resta il Napoli di Mazzarri: sì, di Mazzarri, soprattutto. Trecento panchine in serie A e un’idea fissa in testa: dimostrare che si può vincere senza travestirsi da santoni. Ha sconfitto luoghi comuni e false credenze, riportando il Napoli dove non gravitava ormai da vent’anni. Manca l’opera finale, il traguardo al quale si punta, senza mai pronunciare un nome che sembra legato a un sortilegio. Ma i tabù sono fatti per essere sfatati, violati. Perfino quando inderogabili ragioni di cassa ti costringono a vendere un presunto insostituibile, o un titolarissimo come proprio Mazzarri chiamava i punti fissi della sua formazione. Lavezzi finirà per soffrire di nostalgia napoletana nel paradiso parigino. Non è una previsione, ma la conseguenza inevitabile dei successi azzurri. E’ questo l’effetto scontato che fa il vedere Pandev giocare come mai aveva fatto nella sua lunga militanza italiana, lo scoprire che a Insigne basta un minuto per realizzare una magia possibile solo ai talenti, l’accorgersi che il rendimento di Cavani non soffre per l’assenza di quei cambi di direzione specialità assoluta di Lavezzi. Ma è a centrocampo che s’è realizzato il vero mutamento, un altro merito di Mazzarri. Ha costruito un gioco che l’indisciplina dell’estroso argentino di fatto limitava, lo stesso Hamsik s’è trasformato diventando, se possibile, ancor più fondamentale di quando faceva parte integrale dei tre tenori. Ora al trio s’è sostituita un’orchestra, con la difesa che soffre meno grazie a una maggiore protezione dei centrocampisti. Il calcio non è una scienza esatta, ma a volte i professori come Mazzarri, con le loro teorie studiate e rifinite sul campo d’allenamento, c’azzeccano. E gli indizi aiutano solo a crederci.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro