E mentre altrove c’erano fiumi di lacrime, la notte delle streghe lo stava inghiottendo in un vortice: un’eco e poi un’altra e poi un turbinio d’emozioni da controllare rigorosamente, affinché non ci fossero equivoci né strumentalizzazioni, affinché il tempo scivolasse via sui tatoo, sulla pelle, sulla malinconia d’una serata «gelida». Napoli-Siena e cioè (forse) l’ultimo Pocho: con la tristezza di vederselo sfilare via, dopo cinque anni fantastici, tra veroniche e autentiche sberleffi. « E’ chiaro che è stata una domenica strana per me ». Canta Napoli, eh sì, e però lo fa dopo che l’altra faccia d’uno stadio «spaccato»» si sia messo a fischiare, sopprimendo i ricordi, cavalcando l’onda emotiva e trasformando l’amore in rancore: e mentre intorno si sprigiona un conflitto etico, l’eroe d’un quinquennio, l’erede designato da Maradona nell’immaginario collettivo, riesce a isolarsi, evita di tornare nei pressi della bandierina e lascia il corner ad Hamsik e poi consegna se stesso, le sue riflessioni, le considerazioni dopo prolungate meditazioni al proprio sito: poche righe e però sagge, rispettose, prive di ironia e pure di umanissima «ribellione», lo stralcio di sincerità d’un uomo abituato a offrire interpretazioni calcistiche (e della vita) spumeggianti che stavolta dribbla se stesso e la bramosia collettiva. «E’ vero ch’è stata una serata un po’ strana per me, però nel calcio ognuno è libero di dire la sua, di esprimere la propria opinione ed io ho rispetto di tutti e perciò grazie a tutti i tifosi, indistintamente ».
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