Alla vigilia di Sampdoria-Napoli del 10 maggio del 2010 è andata esattamente come tutti urlavano a squarciagola ormai da tempo: un ex terzo portiere, Matteo Gianello, si è limitato a conversare (intercettato) al telefono con uno scommettitore incallito (Silvio Giusti) promettendo un generico impegno a taroccare l’ultima giornata di campionato di serie A. Ma mai e poi mai, è andato oltre. Mai ha messo seriamente in atto iniziative di ideazione o di progettazione reali finalizzate a truccare quella gara. Tantomeno promettendo denaro a Cannavaro e a Grava per coinvolgerli nella combine. In quei giorni, insomma, non c’è stato alcun tentativo di illecito.
I giudici della Corte di Giustizia Federale, a Roma, hanno finalmente messo la parola fine a un incubo, riscritto una pagina fino a ieri infamante per il Napoli, per il suo presidente De Laurentiis e i suoi due tesserati, accogliendo il ricorso del club azzurro. Quando mancano pochi minuti alle 18,30, il collegio presieduto da Gerardo Mastrandrea deposita una sentenza destinata a fare la storia della giustizia sportiva. E che certamente solleverà anche parecchie polemiche.
Annullata la penalizzazione di due punti al Napoli, cancellata la squalifica di sei mesi di Cannavaro e Grava che già da domenica possono tornare in campo a disposizione di Mazzarri. Caduta la più infamante delle accuse: responsabilità oggettiva per un tentato illecito. La Corte di Giustizia della Figc ha stravolto tutte le decisioni della Disciplinare, facendo praticamente carta straccia del filone napoletano del calcioscommesse di cui resta poco o nulla. Un processo sportivo che era fin dall’inizio un castello privo di prove concrete, legato solo a voci e supposizioni. Ridotta la squalifica anche a Matteo Gianello: pure lui, «il cattivo» della storia esce di scena con 21 mesi di squalifica (rispetto ai 3 anni e 3 mesi del primo grado). Per il portiere di Bovolone la condanna è «solo» per slealtà sportiva, così come invocava il suo legale, Eduardo Chiacchio.
Il Napoli, i tifosi azzurri e Aurelio De Laurentiis che ha letto un memoriale di due pagine e mezzo, si vedono restituire non solo i due punti in classifica e il secondo posto (a pari punti con la Lazio e a tre punti dalla Juve) ma soprattutto il bene più grande messo in discussione in questi 40 giorni: «L’integrità e l’onore di un club senza macchie».
Il Napoli sa che quella alla Corte Federale è la mano più importante della partita. E si deve alzare la posta. «Non voglio sconti, voglio essere assolto» ribadisce ancora De Laurentiis. E la frase rimbomba ancora quando il presidente Mastrandrea e i 10 componenti il collegio si ritirano in Camera di Consiglio verso le 13. Per tutti si va verso una riduzione della penalizzazione. Ma più passano i minuti e più si comprende che la Corte sta rivisitando per intero la vicenda. Caduto il tentato illecito di Gianello e derubricato in slealtà sportiva, in automatico non c’è più penalità per responsabilità oggettiva del club. «Finalmente è finita», è il commento liberatorio dell’avvocato Grassani. Nella sua arringa descrive Gianello come «un infiltrato pronto a carpire i segreti dello spogliatoio».
Chi, invece, come protagonista di una novella pirandelliana, esce incredibilmente sconfessato, è il grande accusatore Stefano Palazzi, il capo della Procura Federale: in realtà è stato il primo a riconoscere una responsabilità oggettiva «modulata» sul Napoli e legata al ruolo marginale di Gianello. Lo ha ribadito ancora una volta che «c’è bisogno da parte della giustizia sportiva di interpretare le norme vigenti in base alla peculiarità del caso», chiedendo anche ieri un punto di penalizzazione. La stessa richiesta di un mese. E come la prima volta, la Corte lo ha smentito.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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