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Napoli, la resa di duemila negozi per la crisi coronavirus: «Non riapriranno mai più»

I danni collaterali del Covid-19 per le piccole imprese rischiano di essere enormi. Ad una settimana dall’uscita dal lockdown di negozi di abbigliamento e tante altre attività commerciali, si profila una nuova emergenza. «Alle condizioni attuali, sono oltre 2000 i pubblici esercizi, a Napoli e provincia, che non potranno riaprire», spiega Pasquale Russo, direttore generale di Confcommercio Campania. La situazione, considerate le lungaggini burocratiche che hanno privato finora le aziende di un sostegno economico da parte dello Stato, potrebbe essere perfino più grave delle previsioni di qualche tempo fa.

I DATI
«Su circa 60 mila esercizi dislocati tra la città e la provincia, sono almeno 2mila quelli più in difficoltà. E in provincia si farà ancora più fatica a ripartire. Si tratta naturalmente di una prima stima- puntualizza Russo- basata sui dati attuali. Bisognerà valutare i protocolli sanitari, le regole di ingaggio e tutto questo impatterà in modo molto significativo sui pubblici esercizi ed anche sugli stabilimenti balneari». Le incognite sulla Fase 2 riguardano tutte le categorie produttive, dalla ristorazione al commercio al dettaglio, dal turismo alla moda ed alle piccole botteghe artigianali. «Le attività che sono state costrette a chiudere i battenti durante l’emergenza sanitaria – prosegue Russo – hanno problemi molti grandi in termini di perdita di fatturato e di scarsa liquidità finanziaria. A questo si aggiungerà il fatto che le regole di accesso ai negozi non agevoleranno l’ingresso delle persone. Per quanto riguarda la ristorazione, ad esempio, se ci diranno di tenere i tavoli a 4 metri è evidente che non riaprirà più nessuno. Inoltre, ci sarà una riduzione del potere d’acquisto dei potenziali clienti». Una combinazione di fattori che complica fortemente la riapertura.

LA CIG
«Tutte le aziende -fa sapere Russo – hanno chiesto gli ammortizzatori sociali. Quasi nessuna li ha ottenuti e in molti casi i titolari hanno dovuto anticipare le somme per i dipendenti, in attesa che arrivi l’assegno dell’Inps». Le tante istanze di cassa integrazione in deroga, in particolare, non hanno ancora prodotto esiti positivi. Un problema che ha aggravato quella mancanza di liquidità lamentata soprattutto da tante microimprese. Ovvero quelle attività produttive, fino a 5 addetti, che corrispondono al 25% del totale della forza-lavoro dipendente. Gli stessi dipendenti delle piccole imprese rappresentano la metà del totale dei lavoratori rimasti a casa dopo il 4 maggio. Mentre i prestiti di 25mila euro da parte degli istituti di reddito – con una garanzia al 100% da parte dello Stato – si sono rivelati una chimera. E, se per il presente i piccoli esercizi devono fare i conti già con le difficoltà finanziarie determinate dalla lunga chiusura, per l’immediato futuro si preannuncia anche un crollo dei consumi, che sembra ineluttabile e che inciderà su tutti i pubblici esercizi. «Considerati tutti questi elementi- sintetizza Russo- saranno molte le strutture che non ce la faranno». Una moratoria fiscale per tutto il 2020, sia per le tasse nazionali che per i tributi locali, viene invocata da Confcommercio Campania. Per molte imprese, a partire dall’abbigliamento, si riveleranno determinanti i protocolli di sicurezza e le norme per consentire l’accesso dei clienti ai negozi. Tra i ristoratori e i proprietari di bar le preoccupazioni sono fortissime. Mentre per i titolari degli stabilimenti balneari – «un comparto che in Campania conta oltre 50 mila lavoratori, senza considerare quelli dell’indotto», spiega il vicepresidente nazionale del sindacato balneari Salvatore Trinchillo – è fissato un incontro a Palazzo Santa Lucia. I dati sul 2020 sono sempre più allarmanti anche per gli artigiani. «Per micro e piccole imprese, si prevedono ricavi quasi dimezzati per tutto l’anno- spiega il presidente Giuseppe Oliviero – con punte del -66% nel turismo, -56% nella moda e -54% nel commercio».

Fonte: ilmattino.it

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