Un anno dopo, c’è un gap con se stessi che lascia il segno e che spalanca una voragine: perché un anno prima, quando il Napoli di Benitez era ancora nella fase embrionale, eppure aveva lasciato una traccia della sua natura prendendo a pallate il Borussia Dortmund e il Milan, però venendo travolto dalla Juventus e ritrovandosi «sculacciato» dalla Roma, non esistevano soltanto sette punti in più in classifica ma anche una serie di indicazioni che inducevano a scrutare l’orizzonte con ottimismo. Un anno fa, «quel» Napoli era una autentica macchina da gol, avendo segnato ventotto gol: appena due in più di adesso, ma utili per conquistare dieci vittorie, contro le sei di adesso. Il malessere, dunque, è la pariggite, che toglie energia, allegria e pure straccia la dimensione di dodici mesi fa, che sembrava proiettata nell’élite, mentre adesso si confonde nel mischione di quelle che concorrono per il terzo posto, ed è una ressa. La differenza netta, sostanziale, forse anche decisiva, è nelle reti subite: diciotto stavolta, dodici all’epoca, sembreranno un dettaglio però spalmate in poco meno d’un terzo di campionato pesano, eccome. Eppure un anno fa c’erano meno certezze, perché la prima difesa di Benitez restava aggrappata a due sole certezze (Reina ed Albiol), dovette rinunciare a Maggio e a Zuniga per infortunio, rispolverò Fernandez dal sottoscala e lo alternò con Britos. Ora che Koulibaly sembra avere conferito non solo capacità acrobatiche, ma anche rapidità (e qualche lapsus), s’è squarciata questa ferita che sancisce la diversità: perché sette punti in meno e sei reti in più sembrano collegate con un filo (azzurro) che lascia sospesi nel vuoto.
Fonte: Corriere dello Sport
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