La felicità, la disperazione: uno di fronte all’altro, senza riuscire a guardarsi negli occhi, perché in quel preciso istante, mentre intorno Bergamo è in festa, c’è un vulcano che sta bruciando el pipita. La gioia ed il dolore (feroce): però senza mai riuscire ad incrociare lo sguardo, perché in quell’istante, in uno stadio che ribolle d’entusiasmo, Higuain resta inchiodato con lo sguardo in quel vuoto pneumatico nel quale è sprofondato e però riesce almeno ad ascoltare. «Me la dai la maglietta?». Il sì è meccanico, naturale, ma l’interlocutore resta anonimo, perché Higuain non c’è, non alza la faccia dal nulla nel quale scopre d’essere e s’accorge soltanto dopo, nello stanzone, che quel ragazzo è il «nemico carissimo» della porta accanto, di fronte.
IL TROFEO. Gliela darà la maglia, e gliel’ha già data, affinché Marco Sportiello la tenga dove voglia, nella stanza d’un giovane di talento di ventidue anni o alle pareti della memoria, dovendo pur un giorno raccontarla a qualcuno, figli e nipotini compresi. Minuto novantatré, la chiave d’una nottata, il poster (per ora) d’una carriera che gli sorride, perché le qualità ci sono ed anche l’umiltà ed anche la serenità di andare a sfidare el pipita, mica il signor nessuno, e di volare nell’angolo per afferrarne la randellata. «Magari non ha calciato proprio benissimo, come sa fare lui: se avesse ripetuto il suo ultimo rigore, avrei potuto fare ben poco. In questi casi, comunque, è puro istinto. E nel salvataggio sulla linea, su Mertens, c’è voluta invece un po’ di fortuna». Ma mentre ormai è notte e si può tranquillamente sognare, si può anche andare a nanna a ripensarci su con la maglia che el pipita gli ha promesso.
DI NUOVO. Il dischetto ora è un incubo, nonostante con lo Sparta Praga e con il Verona a Higuain fosse riuscito di tornare ad essere se stesso: undici metri per scoprire cosa signfichi portarsi dentro il peso d’una sconfitta, perché stavolta è stato persino più crudele che con il Chievo, perché stavolta sarebbe passato, lui con il Napoli, all’incasso, perché dopo una tripletta ci stava di lusso una doppietta e poi pure tre punti, per stare nella scia della Roma, per non perderla ancora di vista.
EPPURE HA SEGNATO. Atalanta 1, Napoli 1 e altro che pathos, ma stavolta è sofferenza allo stato puro: il pallone non pesava, non è mai successo, è vabbé se mancava una manciata di secondi; e poi domenica ci aveva provato, angolo sinistro del portiere, a differenza dei precedenti con Chievo e con Sparta. Quattro reti in due partite: settantadue ore per staccarsi dal digiuno, per smetterla di dannarsi con il vento che invece soffia contro e spegne (per ora) l’euforia.
Fonte: Corriere dello Sport
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