Difficile analizzare Napoli-Bologna di ieri sera: non tanto per l’altalena di risultati, quanto per il fatto che nel Napoli c’è qualcosa che non funziona in ogni reparto. Si è vista una difesa svagata e lenta, un centrocampo estremamente impreciso e un attacco che, pur essendo l’unica nota positiva, resta ancora troppo sprecone.
E pensare che si erano lette di recente dichiarazioni della dirigenza che ritiene la squadra completa così com’è, difficile da integrare o da ritoccare. Al massimo, a quanto pare, si prenderebbe un vice-Cavani, sempre se sarà possibile trovarlo. Ma a dire il vero, le falle più preoccupanti sono ovunque tranne che lì: prima di tutto, c’è un problema nella retroguardia, perché le reti subite quest’anno sono davvero troppe; i difensori sono buoni, ma hanno lacune mal bilanciate – qualcuno troppo lento, qualcun altro fuori forma, altri ancora poco abili sulle palle alte. L’eventuale squalifica di Cannavaro costringerebbe a comprare, ma bisogna valutare attentamente anche le cessioni, perché privarsi dell’unico difensore veloce quale è Campagnaro sarebbe molto rischioso (basti osservare le difficoltà trovate da Gamberini che, gol a parte, è andato in crisi sulle mezze punte veloci del Bologna). Se il reparto arretrato non funziona, la responsabilità è anche dello staff tecnico, che dovrebbe lavorare di più sull’organizzazione difensiva e sistemare al meglio il materiale a disposizione in base alle caratteristiche di ciascuno. E provare un po’ a risolvere – magari con allenamenti mirati – il discorso della palle inattive: come era facile pronosticare (e come abbiamo pronosticato) proprio da un cross da fermo di Diamanti e dalla testa di Portanova (ben noti per le rispettive abilità) è nato il gol-vittoria del Bologna.
A centrocampo, assodata l’unica certezza che è quella di un Behrami sempre al massimo in interdizione, la manovra e la costruzione dipendono troppo dalle prestazioni di Inler e risentono enormemente delle giornate-no dell’ex Udinese. Contro il Bologna l’imprecisione dei passaggi è stata troppo frequente e ha contagiato anche Hamsik e gli altri. Il deficit più grave è tuttavia sulle fasce: Zuniga è ancora in cerca della sua migliore condizione ma Maggio si è smarrito ormai da tempo, sbagliando gol davanti alla porta e non riuscendo a far entrare un solo cross in area nei novanta minuti. Mesto e Dossena non rappresentano alternative di livello, e sul mercato l’intervento più necessario (anzi, indispensabile) dovrebbe riguardare proprio questa zona del campo.
Ma quello che preoccupa di più e che forse influenza ogni aspetto è lo stato psicofisico degli azzurri, che alternano, con una certa regolarità nell’irregolarità, prestazioni brillanti a prove opache e desolanti. E nell’arco di una stessa partita sanno produrre fiammate d’intensità nel mezzo di fasi di calo vistoso. Nelle gare con alte poste in palio o contro rivali importanti, si è visto il Napoli migliore (ma comunque spesso perdente), segno del fatto che quando ci sono le motivazioni i giocatori ci mettono l’anima. Contro l’Inter il Napoli girava a mille e ha mostrato un bel calcio; contro il Bologna passeggiava, nessuno andava incontro al portatore o provava a dettare il passaggio aprendosi uno spazio (se non Cavani, ma invano), mentre i rossoblù correvano il triplo e coprivano ogni zolla del campo, restando sempre corti e uniti.
Nel corso dei match Mazzarri le sta provando un po’ tutte: la soluzione più ricorrente è il passaggio dal 3-5-2 al 4-3-3 oppure al 4-4-2. La linea difensiva a quattro elementi è forse un cambiamento utile per le fasce, perché almeno in copertura Maggio riesce ancora a rendere; ma paradossalmente indebolisce la difesa, che si ritrova solo due centrali. In attesa del mercato – occasione che a questo punto non si può snobbare – sarebbe forse opportuno pensare piuttosto a un 5-3-2 votato al contropiede, che vada incontro allo stato precario di forma degli azzurri e che permetta alle due ali di salire solo quando si sentono al meglio. Ma quando mancano le condizioni, sarebbe allora più opportuno dare una mano dietro, dove riesce meglio e dove c’è più bisogno.
A cura di Lorenzo Licciardi
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