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Napoli che fine hai fatto?

La squadra azzurra ha smarrito il gioco che faceva divertire il pubblico partenopeo

La terza sorella s’è messa un velo e proprio nella giornata (apparentemente) più propizia ha dato una solenne spallata alle sue certezze, alla sua sciccosa interpretazione del calcio: forse era già tutto previsto, perché in quell’ottobre in chiaroscuro, c’erano nascoste una serie d’istruzioni per l’uso, perché quattro sconfitte (due in campionato, due in Europa League) contengono inevitabilmente messaggi nei quali andare a leggere. Poi ci sono le casualità, e pure gli episodi, e persino uno strano intreccio del destino: però, in quelle convergenze parallele – difficoltà a segnare in casa e fuori, improvvisa permeabilità, nonostante il primato di miglior difesa – suggeriscono riflessioni. Quel che succede al Napoli non richiede processi (la classifica ha un valore, ci mancherebbe) ma una analisi senz’alcun pregiudizio, né ostinata difesa delle proprie posizioni.

BIANCO E NERO – Lo spartiacque di questa fase iniziale della stagione sembra essere Torino – quella bianconera – e quell’ora e mezza contro-natura, vissuta smentendo se stesso, standosene eccessivamente sulle sue ha aperto la prima, piccola crepa: perché il Napoli di Mazzarri, in tre anni, a parte occasionali e anzi rarissime circostanze, non ha mai speculato, ha costruito il suo straripante ciclo difendendo e ripartendo e anche attaccando a pieno organico, portando cinque e sei uomini al di là della linea del pallone. E poi, mentalmente, ha scosso le partite con impatti prepotenti oppure con rilanci improvvisi, con finali elettrizzanti. L’ultimo Napoli, ha mostrato la parte più audace di sé a Bergamo in un secondo tempo trascinante e però infruttuoso: poi s’è ritrovato frenato dal Chievo, probabilmente da qualche paura, magari dalla responsabilità di dover crescere e definitivamente, per poter stare al fianco di Juventus e Inter.
SOFFERENZA – Il pareggio con il Torino è un incidente determinato dall’errore di un singolo, però prima ha balbettato il collettivo, esibendo un calcio che non gli appartiene e manifestando difficoltà atletiche umanissime: la stagione del Napoli è cominciata presto, il 10 luglio, ed è stata infarcita di appuntamenti che hanno minato la sua brillantezza, ne hanno succhiato le energie e le hanno sottratto la capacità di imporsi con le folate dei suoi esterni o con la rapidità d’esecuzione d’un contropiede in passato letale. Le gambe non riescono ad assecondare gli input della testa, perché il giro palla registra ritmi inconsueti e c’è una presenza meno frequente dei cambi di campo, ai quali si arriva spostando l’avversario per aprire il varco in cui lasciarsi andare.
ALTERNATIVE – Il Napoli non ama segnare su palle inattive, nel calcio moderno il 60% della produzione: o gli capita su rigore o difficilmente riesce a capitalizzare punizioni e corner. E’ addestrato per creare da sé, attraverso la manovra, mandando dentro Maggio più che Zuniga (o Dossena), sfruttando la prolificità impressionante di Cavani e l’intuito di Hamsik. E’ squadra di corsa ampia, che tanto consuma e altrettanto realizza: e se nelle ultime sette partite, pur con tracce continentali di turn over, i risultati hanno espresso l’involuzione, diviene inevitabile guardarsi dentro. Nei muscoli, nei polmoni, in uno specchio che non deformi la verità.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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