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Napoli, che fai con Insigne?

Tenerlo o cederlo per un altro anno?

Fosse dipeso da De Laurentiis, e solo da lui, Lorenzo Insigne sarebbe rientrato alla base dopo Foggia: trentatré presenze e diciannove gol in Lega Pro, Prima Divisione, rappresentavano già un bel biglietto da visita.
Sotto la guida di Zeman quel ragazzo pescato in una scuola calcio della provincia di Caserta (l’Olimpia di Sant’Arpino) e costato la miseria di 1500 euro, era pronto per essere aggregato alla prima squadra. Ma gli spiegarono che sarebbe stato meglio fare esperienza (o le «ossa», come dicono gli esperti) altrove; giocare con una certa continuità; affidarlo a mani sicure.
Così si fece avanti il Crotone, club abile nel valorizzare i giovani. Insigne era già pronto a trasferirsi in Calabria quando spuntò la nuova richiesta di Zeman, nel frattempo approdato sulla panchina del Pescara, in B. L’entourage tecnico di De Laurentiis non ci pensò due volte:« Lorenzo, andrai a Pescara in prestito. Tra l’altro sei anche più vicino a casa».
Ma il tamburino di Frattamaggiore, figlio di un operaio nel ramo delle calzature, nato il 4 giugno 1991 (lunedì sarà il suo compleanno) si era distinto ancor prima di Foggia nelle giovanili azzurre allenate da Apuzzo e da Faustino, il figlio di Canè. Aveva talento puro. Era sfrontato. Ambizioso. Niente da fare: « Insigne senior doveva farsi le ossa » mentre il fratello più piccolo, Roberto, altrettanto promettente, passava alla Primavera allenata da Dodo Sormani.
De Laurentiis, pur non condividendo, si adeguò. Lasciò tornare da Zeman quel campioncino cresciuto nel vivaio. E quattro mesi dopo, qualcuno gli fece acquistare uno sconosciuto della serie B argentina, tale Chavez.
Oggi Lorenzo, soprannominato «il Magnifico» per i suoi colpi da funambolo negli ultimi venti metri, è pedina inamovibile anche dell’Under 21 guidata da Ciro Ferrara. E’ maturo per il grande salto. Ha dimostrato di sapersi districare in Italia come all’estero; contro difese super-abbottonate e avversari irriducibili; è migliorato anche sotto il profilo tattico, nonché sui calci da fermo. Sicuramente ha tratto vantaggi dagli insegnamenti del boemo e dalle sue diavolerie offensive. E oggi in tanti vorrebbero vederlo scorrazzare al San Paolo con la maglia del Napoli.
In tanti scommettono che potrebbe addirittura non far rimpiangere Lavezzi. E la platea di Fuorigrotta non potrebbe mai spaventare uno scugnizzo impertinente qual è lui. Anzi potrebbe persino esaltarsi e far fregare le mani ad un presidente che non si è mai spiegato perché all’estero un ragazzo bravo viene subito lanciato in prima squadra mentre da noi « deve maturare », « farsi le ossa », « è ancora troppo giovane per essere lanciato nella mischia ». E così gli tocca andare in Sud America e spendere anche undici milioni di euro per poi veder languire in panchina un certo Vargas. « Il talento o c’è o non c’è, non capisco cosa bisogna aspettare con i giovani di casa nostra », ripete il patron. E al coro si unisce il ct dell’Under 21, Ciro Ferrara:« Per me, Lorenzo è più che pronto ».
I contro:
I tifosi, sono loro a frenare gli entusiasmi di un ambiente pronto a esaltarsi come a deprimersi. « Rispetteremo la volontà del Napoli », ripetono. 
Sono vigili nel placare anche i bollori del ragazzo che non vede l’ora di ripetere gli stessi numeri in Serie A. Magari con la maglia del Napoli, perché no. « Calma, non precorriamo i tempi », suggeriscono. Ottaiano e Andeotti operano a Napoli e conoscono meglio di altri quanto sia complicato per un giovane conquistare il San Paolo. Soprattutto

I suoi procuratori Andreotti e Ottaiano sono molto cauti «Rispetteremo la volontà della società» per uno che parla lo stesso dialetto dei tifosi. Ne sa qualcosa Paolo Cannavaro, costretto una domenica ad uscire dal campo tra i fischi e poi a scrivere una lettera aperta ai tifosi per invocare comprensione. Ne sa qualcosa anche Edu Vargas, naufragato alla prima apparizione a Fuorigrotta, con il Cesena in Coppa Italia.

Con i giovani, Napoli è ingrata. Non sa portare pazienza. Né trasmettere fiducia. E la mancanza di serenità nell’ambiente porta spesso l’allenatore di turno a non osare, non avere coraggio, preferire calciatori più esperti.
Ritornando a Napoli dopo le splendide stagioni vissute a Foggia e Pescara, Insigne correrebbe il pericolo fondato di vedere rallentato il processo di maturazione. Non avrebbe sufficiente spazio per sfoderare le qualità nella massima serie. E non troverebbe un allenatore così menefreghista da sorvolare alle prime critiche negative.
Pur impertinente, il tamburino di Frattamaggiore correrebbe il rischio di deprimersi e perdere autostima. Come in pratica è successo a Vargas, passato da attore protagonista a comparsa nel giro di un mese. Meglio sarebbe proseguire il processo di crescita in un ambiente meno ossessivo, dove gli darebbero la possibilità di esibirsi con sufficiente continuità, con un allenatore (anche se non fosse Zeman) capace di trasmettergli la fiducia necessaria giorno dopo giorno.
« Nemo propheta in patria », il motto si sposa alla perfezione con una città dove nel calcio, e non solo in quel campo, ai propri figli è stato perdonato poco o niente, tranne poi ricredersi, pentirsi, recitare il mea culpa. Quanti ragazzi campani hanno fatto fortuna altrove. De Laurentiis vorrebbe scardinare questo modo anacronistico di giudicare, farlo « tout court », in fretta. Il futuro di un club passa per la crescita del marketing e del vivaio. In Spagna, come in Inghilterra, ma anche in altre nazioni, insegnano. Barcellona, Athletic Bilbao, Arsenal, Ajax, Wolsfburg sono diventati grandi sfornando campioncini a ripetizione. E gestendo quel settore come una società nella società. Il Napoli non è ancora a quei livelli ma possiede tanti di quei talenti naturali che potrebbe colmare il gap prima del previsto.
Se Lorenzo «il Magnifico» dovesse rientrare sùbito alla base dovrebbe trovare anche un contesto tattico dove sprigionare le proprie qualità tecniche oltre alla continuità di impiego. Nel Napoli sarà possibile tutto questo?

Fonte: il Mattino

La Redazione

C.T.

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