Il bimestre in bianco sta entrando nel vivo ma ciò che resta ancora nell’aria è quel senso di precarietà che s’avverte nitidamente, è il disagio d’una incertezza che amplifica il malessere del campo, le difficoltà attuali, la crisetta di risultati: nulla nasce per caso e però qualcosa (forse) il caos può determinarlo, certo non le sconfitte, ma una sofferenza o un distacco o appena appena un principio di scollamento psicologico, magari generato dall’inconscio. Walter Mazzarri e il Napoli si sono dati (pubblicamente e ufficialmente) appuntamento per il prossimo maggio, quando il pallone sarà scivolato a bordo campo e – umori alla mano – diventerà più naturale accomodarsi per guardarsi negli occhi (e magari anche un po’ dentro), ascoltare quello che dice il cuore, rimuovere quella patina di “tatticismo”, di gioco delle parti che inevitabilmente ha un ruolo, e infine decidere cosa sarà di loro, d’un ciclo avviato quattro anni fa, che ha avuto picchi sensazionali e che ora sta invece conoscendo una complessa e anche insolita pausa di riflessione. Il Napoli è un’azienda atipica, perché nel calcio hanno un’incidenza – e devono averla – i sentimenti, ma l’impresa resta con i suoi principi, le proprie esigenze, le priorità: il decennio di Aurelio De Laurentiis è stato caratterizzato, innanzitutto, dalla solidità d’una filosofia e ciò ha contribuito a suscitare non solo i riconoscimenti tecnici, ma anche quelli ambientali d’un mondo che è stato solleticato a programmare con lucidità e con lungimiranza. E’ indiscutibilmente atipico, rispetto alle abitudini del Napoli, che non si abbiano certezze, a dieci giornate dalla fine del campionato, sul destino di Walter Mazzarri, della sua volontà. Né un sì, né un no. Solo la palpabile considerazione che stavolta il “progetto” rischi d’essere un (pericoloso) sostantivo vuoto e che lo scettro si trasformi in spettro.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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