È difficile individuare con presunzione di oggettività le ragioni della seconda sconfitta in due trasferte consecutive del Napoli, che si aggiungono ai due pareggi con Udinese e Catania e formano un bottino di due soli punti nelle quattro gare successive all’eliminazione in Champions. Si potrebbe intuitivamente parlare di crollo mentale ed emotivo, ma in fondo gli Azzurri non potevano legittimamente puntare alla vittoria finale in Europa, e la partita di Londra l’hanno persa per proprio demerito e merito degli avversari. Si potrebbe anche osservare un improvviso calo atletico, eppure sembra strano dopo aver visto, solo un mese fa, una squadra quasi straripante fisicamente. E adesso che un obiettivo concreto ci sarebbe, o ci sarebbe stato (il terzo posto), tutte le forze e la convinzione sembrano venute meno.
Sotto un aspetto strettamente tattico, anche le performance atletiche e la condizione psicologica possono avere una spiegazione. Si sa che il Napoli non dispone di una rosa molto ampia, ma qualche alternativa c’è ed è Mazzarri stesso che preferisce utilizzare quasi sempre gli stessi 13-14 uomini. Non basta, però, chiamare in causa la spinosa questione del turnover per chiarire il problema: già soltanto la disposizione in campo può determinare l’efficacia della corsa e l’esplosività fisica.
A Roma contro la Lazio, il cambiamento di schema è stato forzato, e avrebbe potuto anche giovare “mutare forma” per una volta. Ma, a guardare la partita (inclusa la fase in cui il Napoli si è espresso bene), sembrava che molti calciatori azzurri fossero un po’ spaesati con il nuovo assetto, quasi come se non l’avessero provato abbastanza in allenamento. Ma questa è solo un’impressione senza fondamento. Ciò che invece è saltato agli occhi, e in modo strano, è stato vedere sia Hamsik che Dzemaili fuori “posizione naturale”: lo slovacco messo a fare il vice-Gargano, e Dzemaili addirittura il vice-Maggio. Una mossa di difficile decodificazione, tanto più se si considera che, soltanto invertendo le rispettive posizioni dei due, entrambi avrebbero giocato più o meno nel proprio ruolo. In verità, con l’utilizzo di tre punte, sarebbe stato forse più opportuno sistemare i tre centrocampisti in linea e farli giocare vicini, sia per non sfilacciarsi, sia per arginare il centrocampo della Lazio formato di ben cinque elementi.
Mercoledì contro l’Atalanta ogni equivoco si risolverà da solo con il rientro di Gargano. Resta però un dubbio sull’atteggiamento di Mazzarri, che conferma sempre come preferisca adattare i giocatori ai suoi schemi e non il contrario. Esperimenti e scoperte possono starci, ma forzare un giocatore in un ruolo inadatto alle sue caratteristiche e capacità è un rischio che raramente paga. Le assenze spingeranno il tecnico azzurro a riproporre, con ogni probabilità, la difesa a quattro, e gli schieramenti dovrebbero essere i seguenti:
In realtà, quello che sulla carta sembrerebbe un 4-3-3, in fase iniziale di possesso si modellerebbe secondo un 4-2-3-1, con Hamsik, Pandev e Lavezzi ad agire appena dietro Cavani. Più improbabile che Mazzarri scelga di tornare alla difesa a tre inserendo Grava e togliendo Hamsik o Inler: in tal caso la squadra sarebbe potenzialmente meno votata a produrre gioco e troppo difensiva, in un match che il Napoli deve necessariamente vincere. Il rischio infatti è quello di incappare in un pareggio che significherebbe, concretamente e soprattutto psicologicamente, la quasi impossibilità di ritrovare motivazioni per la lotta al terzo posto.
E per vincere, il Napoli dovrà esprimersi al meglio e tornare a “brillare”. L’Atalanta è compagine solida, ben organizzata soprattutto contro le squadre più in alto in classifica, e limitarsi al compitino non basterà per perforare la difesa bergamasca. Intanto, un occhio di riguardo per Denis potrebbe toccare ad Aronica, ma anche Fernandez potrebbe farsi valere sulle palle alte. Una buona circolazione di palla con i tre centrocampisti, il supporto di Pandev e un Lavezzi che si spera troni ai suoi livelli, sarà determinante per battere l’Atalanata: è ora che il Napoli torni a riproporre verticalizzazioni veloci, un gioco aggressivo, concreto e in grado di valorizzare la tecnica dei suoi uomini migliori.
Lorenzo Licciardi
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