Ma stavolta il bilancio non c’entra, né il monte-ingaggi: perché Napoli-Empoli dimostra (conferma), che si può fare calcio attraverso le idee, mescolandole ad una serie di congiunzioni astrali, però lasciandole adagiare attraverso una fusione – sacra – tra varie componenti. Ed ora, non ci sono budget e distanze incolmabili tra due «ceti», non nel football: perché l’Empoli al Napoli si espone in tutta la sua fierezza, denuda i limiti strutturali (attuali) d’una squadra che non sa più vincere, ma vicinissimo ad un successo che avrebbe (stra)meritato e poi alla fine per poco non rischia di perderla, se non avesse tra i pali uno scugnizzo che sa come si para anche la tensione. E’ 2-2 ed è un gran bel vedere: ma perché l’Empoli esibisce il meglio di sé, gestisce i palloni con la sana consapevolezza di chi è padrone del proprio palleggio, non si irrigidisce mai, non si impaurisce (neanche quando viene raggiunto), non indietreggia, difende e riparte e ora può anche mordersi le mani.
MONOLOGO. Provinciale, come se fosse un limite: invece in quell’Empoli c’è la sintesi del «progetto», una squadra che si muove dolcemente, una linea difensiva che pare retta da un filo invisibile, un pressing alto ma non altissimo e poi, zac, verticalità. Il Napoli non ha Insigne, Zuniga, Michu e pure Higuain (per un’ora), ma ha soprattutto ritmi inconciliabili con un avversario che domina prime e seconde palle e che se ne va, sobrio, a campo aperto, sulla ripartenza Maccarone-Verdi, chiusa con diagonale chirurgico che al 19’ vale lo 0-1. La reazione che non t’aspetti è di nervi, assai poco lucida, genera qualche destraccio (21’ Mertens, lo tiene Sepe) e, soprattutto, i rimpianti dell’Empoli che ha il gancio del ko (25’) con Maccarone e poi con Tavano (32’) e li rifila nel vuoto d’una illusione.
BATTICUORE. L’«altra» partita è nella ripresa e l’Empoli ce l’ha sempre in pugno, la governa, la surgela con il 2-0 di Rugani (da angolo, con Ghoulam di cera), la può definitivamente afferrare un minuto dopo, con Verdi che scarabocchia e invece per poco non se la vede sottrarre: perché sì, in certi casi, i valori assoluti pesano. La svolta di Benitez è nell’ennesima sostituzione di Hamsik o del suo fantasma, nella ricerca disperata e attraverso il 4-4-2 d’una spinta stavolta più ampia: quando Zapata (22’) l’ha appena riaperta, con una capocciata nel mischione, De Guzman spalanca orizzonti sino a quel momento ignoti, si tiene largo e poi si stringe, annusa l’aria e ci mette sensibilità, afferra il 2-2 (al 27’) dopo una percussione devastante di Maggio e spedisce Callejon dinnanzi a Sepe; ma il bomber s’è inasprito con se stesso e il portiere invece è esaltato ed occupa lo spazio. L’Empoli ha preso fiato, mentalmente è presente, non rinuncia, asseconda le geometrie e lusinga la Storia (38’) con la girata di Maccarone – da punizione di un Valdifiori che sa fare tutto e benissimo – che fa ondeggiare il San Paolo nella paura.
DIVERTENTE. Meglio restare aggrappati al braccio di ferro, che il Napoli ora affronta con un David Lopez più consistente, una manovra sempre però laboriosa, mentre l’Empoli è agile, resistente alla fatica, per nulla adagiato sul pareggio: è costretto ad indietreggiare, ovviamente, ma tiene alta la propria postura, magari soffre sul lato sinistro, con Laxalt disorientato dalla veemenza di Maggio, ma è godibile e se gli dei, a ventuno secondi dalla fine, decidono per l’equità, forse è il successo della meritocrazia. Il più sporco dei palloni lo butta nel mezzo Gargano, diventa una parabola perfida, sulla quale De Guzman va in controbalzo, con il sinistro: ci vorrebbe un «fenomeno» per andar giù nell’angolo e smanacciarla e fare giustizia e Sepe qualcosina ha nel suo codice genetico. Non è una parata, è un miracolo ed è un 2-2 che scava un solco tra il Napoli e la vittoria (l’ultima a Firenze, il 9 novembre), che colma il “gap” tra la provincia e l’aristocrazia, perché quest’Empoli sarà anche più «povero» ma quanto è bello…
Fonte: Corriere dello Sport
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