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Napoli, addio alla divisa mimetica? Si pensa all’inedita maglia nera per rimpiazzarla…

Il boom dopo le critiche. La maglia mimetica del Napoli è andata a ruba: «Chiudiamo l’anno con 50mila pezzi venduti, ha avuto più successo di quella tradizionale», dicono dalla Macron, l’azienda emiliana di Crespellano che da cinque anni veste gli azzurri. Sembrava un pugno nell’occhio, si è rivelata un portento commerciale, ben oltre i rilievi di scarsa originalità (un’idea simile l’hanno sfoggiata il St. Pauli, il Bassano, l’Everton per i portieri) e l’accusa di plagio piovuta da un’azienda tedesca. Il Napoli non la indossa da qualche settimana, potrebbe persino sostituirla con una nuova divisa nel ritorno (tutta nera, si sussurra). «Abbiamo in serbo sorprese per gennaio», si limitano a dire dalla Macron. Amedeo Iossa, capo dell’ufficio sviluppo prodotto e ideatore della divisa camouflage, sorride: «Ma quale plagio, da due anni lavoravo a questo progetto con Luigi De Laurentiis, il figlio del presidente. L’idea l’ho avuta guardandomi intorno: ai giovani piace, e Lapo Elkann ha addirittura una Ferrari così.

La mimetica è come le righe o il pois: è uno stile. I calciatori sono nuovi divi, la contaminazione con la moda è la strada per creare prodotti di successo, sempre nel rispetto del regolamento e delle esigenze tecniche». La gestazione di una nuova T-shirt è lunga, racconta Iossa. «Prima c’è l’idea, che va condivisa con le società, perché noi produciamo prodotti specifici per i top club. Quindi si passa al computer per il rendering grafico. E poi c’è il passaggio cruciale, al tessuto. Si fanno mille prove, per scegliere la tinta migliore. Per il Napoli, è servito tempo per trovare le tonalità di verde più adatte». Nel caso dei portieri, in più, entrano in gioco gusti individuali del giocatore e piccole scaramanzie. «Guai a sbagliare colore con Pagliuca. Anche De Sanctis, che vestivamo fino all’anno scorso, è molto attento ai dettagli. E oggi Marchetti della Lazio ha collaborato a creare maglie molto ricercate sul mercato. C’è una vecchia leggenda metropolitana secondo cui alcune tinte sgargianti sul petto del portiere possono indurre l’attaccante a sbagliare. I colori incidono sull’inconscio e sulle decisioni, ma soprattutto danno fiducia a chi quella maglia la indossa». La Macron, 130 dipendenti, 4 milioni e mezzo di pezzi venduti nel 2013 con un fatturato di 65 milioni, in Serie A veste anche il Bologna (dal 2001) e la Lazio (da due stagioni), all’estero Aston Villa, Leeds, Betis. «E Monaco, dove l’arrivo di Falcao ha quintuplicato le vendite delle nostre maglie — spiega l’ad Gianluca Pavanello —. È proprio vero che ci sono giocatori che si ripagano da soli». Quanto agli accordi economici, «variano in base alla forza e alla popolarità del brand. In alcuni casi c’è il sistema delle royalty: più capi si vendono, più la società ci guadagna. In altri casi, al club è riconosciuto un fisso nel contratto di sponsorizzazione, che comunque viene calcolato sulla stima del fatturato».

Fonte: Francesco Savario Intorcia – Repubblica

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