Una «bravata». Tre volte la Corte d’Appello usa il termine nel motivare lo sconto di pena (da 26 a 16 anni) a Daniele De Santis, reo dell’omicidio volontario di Ciro Esposito.
Intanto, secondo i giudici, quello di «Danielino» non fu un agguato ma una «scomposta azione dimostrativa». Per questo riscrivono in alcuni passaggi chiave la sentenza di primo grado con cui i colleghi di corte d’Assise accoglievano l’accusa del pm. «Non si capisce — scrive la corte d’Appello — come lDe Santis si possa ritenere l’esca. Questa tesi appare frutto di una suggestione successiva ai fatti e prodotto di una elaborazione collettiva». Lo esclude la logica —la stazza dell’imputato, il fatto che fosse a volto scoperto davanti al luogo in cui vive — e la mancanza di prove dell’imboscata prima e durante i fatti. Quanto ai presunti complici con casco integrale, mai identificati, si tratta di ragazzi in scooter attratti dalla confusione e poi fuggiti per non esserne coinvolti. Secondo i giudici, De Santis esce dal Ciak Village perché «insofferente» per la presenza dei tanti tifosi napoletani» che il 4 maggio 2014 affluiscono a Tor di Quinto lanciando petardi e fumogeni, «alcuni gioiosamente, altri meno». Poi cerca di ripararsi dietro il cancello, viene colpito con un pugno da Ciro e apre il fuoco con la pistola che già impugnava «perché consapevole dei rischi della sua tragica bravata».
Senza agguato non c’è il reato di rissa (lo sconto nasce da qui e dal rigetto di alcune aggravanti). E, secondo gli avvocati Tommaso Politi e David Terracina, ci sarebbero gli estremi per la legittima difesa.
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