Un raffreddore. Un mal di gola, una banale infezione. Potrebbe essere stato questo il killer nascosto di Mario Morosini, morto a Pescara lo scorso 14 aprile allo stadio Adriatico.
Lo rivelano le prime indiscrezioni sull’autopsia a cui è stato sottoposto il centrocampista del Livorno: si parla di una “area cicatriziale” nella zona ventricolare sinistra. Si fa sempre più probabile quindi l’ipotesi che a stroncare la vita del 25enne possa essere stata una miocardite, cioè una infezione, che avrebbe colpito il circuito elettrico del cuore.
L’aver localizzato una lesione in quell’area quindi rafforza la probabilità di aritmie che possono aver provocato la fibrillazione ventricolare. Per la conferma definitiva bisognerà attendere l’esito degli esami istologici effettuati sui reperti, ma ci vorrà ancora del tempo.
Secondo l’anatomopatologo dell’Università di Chieti Domenico Angelucci, istituto presso il quale è stata effettuata l’autopsia dal medico legale incaricato dalla procura di Pescara Cristian D’Ovidio, qualora la diagnosi fosse confermata il decesso di Morosini sarebbe avvenuto lo scorso 14 aprile allo stadio Adriatico «come per corto circuito.
La corrente elettrica nel cuore va in una certa direzione – spiega il medico – una eventuale infezione che provoca un danno materiale interrompe il circuito e provoca delle fibrillazioni ventricolari».
Ora non è dato sapere quando Morosini possa aver contratto questa infezione e se gli eventuali controlli possano aver rilevato una eventuale anomalia, ma è lo stesso dottor Angelucci a chiarire che «spesso questi danni sono o minimi o confondibili con anomalie congenite, fino a quando il circuito non si interrompe in modo tragico».
Se queste ipotesi dovessero essere confermate dalle analisi, si aprirebbe allora uno scenario nuovo nelle indagini. Non è affatto escluso che la magistratura voglia andare fino in fondo con l’inchiesta per accertare le eventuali responsabilità nei soccorsi. E siccome il quesito principe chiesto dalla procura di Pescara al medico legale Cristian D’Ovidio è proprio quello di sapere se il defibrillatore poteva salvare la vita del calciatore, ora l’attenzione si sposta sui pareri medici e sull’efficacia dei soccorsi.
Intanto pare accertato dall’inchiesta che il defibrillatore in campo non è stato neanche acceso.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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