Quattro giorni dopo la tragedia dello stadio Adriatico a Pescara c’è una domanda-chiave ancora senza risposta e che torna con insistenza: perché nel disperato tentativo di salvare la vita a Piermario Morosini non è stato usato il defibrillatore? Eppure era lì, anzi ce n’erano addirittura due in campo a un passo da Morosini: quello della Croce rossa e un altro in dotazione alla Misericordia, associazione di pronto soccorso. Scatole gialle che contengono il Dae, apparecchio semiautomatico.
«È un defibrillatore quello tra i piedi dei soccorritori intorno al giocatore del Livorno, nessun dubbio» conferma Berardino Fiorilli, vicesindaco di Pescara e volontario della Misericordia, commentando una foto. Così Marco De Francesco, altro operatore della Misericordia: «Sono stato io a correre con il defibrillatore verso Morosini e prima di me è arrivato un collega della Croce rossa che subito ha messo l’apparecchio a disposizione. Il medico del Livorno calcio (Manlio Porcellini, ndr) era già impegnato nel massaggio cardiaco sul giocatore, era lui ad aver assunto il ruolo di leader dei soccorsi e in base alle procedure noi infermieri volontari ci siamo rimessi alle sue scelte». Secondo quanto raccontano le immagini Porcellini insiste nel massaggio cardiaco in apparenza senza considerare l’utilità dell’uso del defibrillatore (nessuno lo applica sul petto di Morosini). Non si era accorto di averlo a portata di mano? Allo stesso modo si comporta il dottor Leonardo Paloscia, primario cardiologo dell’ospedale di Pescara che era in tribuna e che si precipita in campo per dare una mano.
Intanto dietro la tribuna nord si consumava la farsa dell’ambulanza bloccata dall’auto dei vigili urbani. Cronometro alla mano, nella ricostruzione tv di Sky, per 6 minuti e 24 secondi Morosini resta agonizzante. Dopo altri 4 minuti arriva al pronto soccorso dell’ospedale. Stando alla prima ricostruzione, neppure in ambulanza a Piermario è applicato il defibrillatore, usato invece al Pronto soccorso nell’ora e mezza di tentativi vani di rianimarlo. Perché prima no e poi sì? Alle 16,45 di sabato Morosini è dichiarato morto. «Il defibrillatore non serviva, il cuore non dava segnali, il ragazzo non s’è mai ripreso dal momento in cui è caduto» dirà Paloscia. È un esperto e sa quello che dice. E con Porcellini e il dottor Vito Molfese del 118, alla fine si è detto sicuro di aver «fatto tutto il possibile» per salvare Morosini. Dichiarazioni che andranno ripetute alla Digos, cui la Procura ha affidato le indagini e che sta acquisendo foto e video di quei drammatici momenti. Altre risposte dovranno arrivare dagli accertamenti disposti dopo l’autopsia. Ieri a Chieti il medico legale Cristian D’Ovidio – in presenza della dottoressa Cristina Basso, perito della famiglia Morosini – ha avviato gli esami istologici. «Ci vorrà tempo» ha detto. Test tossicologici sono affidati alla dottoressa Simona Martello della Cattolica di Roma.
E ieri a Livorno ultimo ”giro di campo”, salutato da oltre 8.000 persone per Morosini. Nel suo viaggio verso casa, a Bergamo dove è arrivato in serata, il feretro di Piermario allo stadio degli amaranto nelle cui file il centrocampista giocava da gennaio. «Sei nei nostri cuori, Moro»: questo l’urlo esploso tra le lacrime. Mentre risonavano le canzoni «A te» di Jovanotti e «Urlando contro il cielo» di Ligabue, che il giocatore
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
amava.
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