I ricercatori non servono più: tutti a casa. Proprio nel momento storico in cui il tema della ricerca scientifica in campo medico-farmaceutico sta diventando strategica a livello geopolitico, a Monza c’è un caso che va decisamente in controtendenza. La Rottapharm Biotech ha ufficializzato la dismissione dei propri laboratori, e — soprattutto — la procedura di licenziamento collettivo per 76 ricercatori, colpiti anche da una duplice beffa: le lettere di benservito sono datate 19 febbraio, quindi non sono coperte dal blocco dei licenziamenti, che parte dal 24 febbraio, e a causa delle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria non possono organizzare alcuna manifestazione di protesta.
È un’agonia silenziosa, inghiottita dal «ben altro di cui parlare» di queste settimane epocali, quella che stanno vivendo 76 famiglie tra Milano e la Brianza. Ma, in effetti, il terremoto che li ha colpiti precede soltanto di pochi giorni l’esplosione dell’emergenza coronavirus che ha travolto la Lombardia e il mondo intero. La famiglia Rovati, proprietaria del centro di ricerca dal 2014, ha comunicato l’intenzione di dismettere i laboratori per concentrarsi «sull’individuazione e il finanziamento mirato di progetti di ricerca universitari o di piccole biotech innovative e altamente specializzate», perché la ricerca è passata da «un modello tradizionale al notevole incremento di piccolissime start up». E contestualmente ha informato i sindacati dell’avvio di una procedura di licenziamento dei 76 ricercatori alle proprie dipendenze. Tra l’altro fino a quel giorno i sindacalisti non avevano mai potuto varcare la soglia della Rottapharm Biotech, dove era stata attuata una puntuale politica di moral suasion nei confronti dei dipendenti. L’azienda fa sapere di aver investito 100 milioni in cinque anni «senza alcun ritorno» e di aver offerto incentivi di 12 mensilità più 400 euro per ogni anno di anzianità.
Ma, insieme con i lavoratori, i vertici briantei di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil protestano: «Oltre al danno subiamo la beffa delle misure restrittive dei decreti governativi che impediscono ogni forma di protesta — spiegano i tre sindacati —, nessuna possibilità di gridare al mondo il proprio dramma». E, per esempio, raccontano di un annuncio del presidente Lucio Rovati a proposito «dell’avvio della ricerca del vaccino contro il Covid-19. Notizia poi fortemente ridimensionata al tavolo delle trattative».
La trattativa si trasferisce ora al ministero del lavoro, dove è previsto un Incontro il 14 maggio. I lavoratori ricordano che «la famiglia Rovati è al ventunesimo posto della classifica di Forbes dei più ricchi d’Italia» e che, in effetti, ha fatto donazioni anche durante questa emergenza, ma a loro ha offerto «un misero incentivo all’esodo. Ci sentiamo traditi», scrivono in una lettera aperta. «Come scarpe vecchie, non servono più, si buttano via — dicono i sindacati —. Ci è stato detto che coi suoi soldi fa ciò che vuole. Vero, ma riteniamo che abbia un obbligo morale con i suoi lavoratori che hanno un’anzianità media molto elevata». La richiesta, a questo punto, è una sola: «Un indennizzo che permetta loro di affrontare il futuro con più serenità e non con l’acqua alla gola».
Fonte: Corriere.it
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