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Montervino: “Essere il capitano del Napoli è impareggiabile. Benitez? E’ un fuoriclasse”

La maglia numero 10, la casacca azzurra, la fascia di capitano, un’irresistibile serpentina di una quarantina di metri, gli avversari saltati come birilli, il morbido pallonetto e poi… E poi, unendo tutti i punti, come nella migliore tradizione enigmistica, ecco che potrebbe comparire la parolina magica: Diego. Ovvio, lampante, ma poi non così scontato. Perché quella volta non era il mitico Pibe, ma molto più semplicemente Francesco Montervino. Che nel suo piccolo, però, riuscì a far partire dalle tribune una lunga sequela di punti esclamativi. «Ohhh! ma non ti sembrava…». Ecco, suonavano pressappoco così i commenti allo slalom di uno dei capitani della rinascita, del doppio salto dalla serie C alla serie A. La palla rotolò pigramente a lato, ma solo di pochi centimetri. Restò la preziosa vittoria sul Sora (2-0), in quel dicembre del 2004, quando tutto era ancora avvolto nella nebbia (seppur azzurra), quando il Napoli che oggi è stabilmente in Europa era ancora nel bozzolo e si andava a lottare allo stremo sui campi di Giulianova, Fermo, Martina Franca. Dove nessuno mai si sognava di fare sconti al blasone e c’era da sudare e sgomitare dal primo minuto al novantesimo. Resta nei ricordi quel raro gesto atletico, quell’irresistibile serpentina che si può spiegare solo fino a un certo punto. «Certo, me lo ricordo benissimo, come se fosse ieri. Ne saltai ben cinque, alla fine pure il portiere. Ma la palla non finì dove avrei voluto. Giocai una delle mie migliori partite dopo aver ricevuto da Scarlato quella fascia di capitano che mi diede una carica unica, una leggerezza improvvisa» .
Montervino, ma poi ci ha preso gusto, vero?
«Certo. Fare il capitano del Napoli è una cosa impareggiabile e io ci ho preso gusto subito, facendolo a lungo. In serie C1, in B, in A e anche in Europa: oltre ad un piacere è stato un grande onore. Sono stati gli anni più belli della mia carriera, con la consapevolezza di aver partecipato e contribuito al rilancio del Napoli».
E’ stata dura all’inizio, come andò?
«Ero padrone del mio cartellino, dopo aver giocato anche nel Napoli pre-fallimento con Montesanto, ed avanzai la mia candidatura senza pensarci un attimo su. Fui arruolato subito e ci presentammo solo in quattro all’hotel Ariston di Paestum: io, Montesanto, Mariano Stendardo e il Pampa Sosa. Da lì poi tutto successe velocemente, per forza di cose. Fu un raduno unico, dovemmo provvedere alle divise, ai palloni, a tutto. In breve arrivarono molti compagni in prova, le scelte furono fatte in fretta per poter onorare l’esordio in campionato col Cittadella. Arrivato con un po’ di ritardo e con quei cinquantamila in tribuna: un buongiorno che prometteva benissimo e infatti si è visto com’è andata».
Poi vennero le promozioni, gli Hamsik , i Lavezzi, i Gargano.
«Sì, tante soddisfazioni, ma ci avrei giurato. Mi accorsi subito che le intenzioni erano delle migliori, che chi lavorava al progetto mirava molto in alto facendo tutti i passi giusti nel momento giusto. Per quanto riguarda i compagni della magica cavalcata, Hamsik arrivò che era gracilino ma già si intravedeva la stoffa del campione, Lavezzi invece era sovrappeso ma riuscirono in breve a farlo rientrare nei ranghi e Gargano mi sorprese moltissimo ai test. Forse un po’ meno veloce di me, ma con una resistenza allo sforzo unica. Non si stancava mai».
Quindi un po’ si rivede nel Mota?
«Nel modo di non mollare mai sì, Walter è un combattente, ma con le dovute proporzioni forse mi rivedo di più in Behrami».
Torniamo al presente: adesso si può puntare allo scudetto?
«Il Napoli è cresciuto tantissimo. La rosa è sempre più competitiva, il presidente sempre più competente, e ora c’è un tecnico che è un fuoriclasse e può fare la differenza».
Fa bene De Laurentiis a tenerselo ben stretto?
«Certamente. Benitez potrebbe essere l’uomo della svolta. Sta dando un indirizzo e una mentalità ben precisa alla squadra e il presidente fa bene ad assecondarlo».
Cosa ci vorrebbe per completare questo Napoli?
«Lo staff tecnico sa molto bene quello che occorre. Non sta a me dirlo, né tantomeno fare nomi. Ci sono da rinforzare su tutti difesa e centrocampo».
E l’attacco?
«C’è un pool di trequartisti eccezionale, c’è un Higuain strepitoso con una tecnica sopraffina. Che deve solo completare l’ambientamento e poi farà davvero la differenza».
Mentre in porta?
«Anche Reina è un fuoriclasse, una garanzia assoluta. Spero che si possa riuscire a trattenerlo. Ma mi ha colpito molto anche Rafael. Sicuro di sé da subito, di un certo carisma nonostante la giovane età».
Montervino, ma lei cosa farà da grande?
«So che non continuerò con la Salernitana, ma almeno una telefonata da Lotito me la sarei meritata oltre che aspettata (s’è svincolato il 30 giugno, ndc). Dopo cinque stagioni di sacrificio e battaglie: io cerco di dare sempre l’anima, è nella mia indole. Ho una società di catering che opera anche nel napoletano, quindi faccio la spola fra Salerno, dove vivo, e Napoli, dove ho tantissimi amici. Due città che ho nel cuore. Ma in questo periodo ho fatto da tramite fra il Taranto calcio e i fratelli Campitiello di Pagani per l’acquisizione delle quote di maggioranza. Sono imprenditori seri e vorrebbero rilanciare il calcio nella mia città. L’operazione sta andando in porto». E nel suo futuro immediato c’è proprio un ruolo nel Taranto, da direttore sportivo.
Fonte: Corriere dello Sport

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