In quanti, aspettavano solo questo momento? In quanti non vedevano l’ora?
No, non mi riferisco alle esultanze al momento della mia condanna, o ai sospiri di sollievo tirati da altri perché il polverone che avrebbe dovuto coinvolgerli li ha colpiti senza minarne l’ostentazione di virtù che la storia ha dimostrato non fossero in loro esclusivo possesso.
Mi rivolgo invece a chi si fregava le mani, attendendo questo appuntamento. Quello con le mie riflessioni a mente fredda, un faccia a faccia con i pensieri di un uomo che in troppi vorrebbero arreso, triste, finito.
Ti passano tante cose, per la testa, quando ricevi delle mazzate del genere, quando vieni accusato di qualcosa che in cuor tuo sai di non avere commesso, quando pensi di aver vanificato risorse ed energie per tanti anni, bruciando in un secondo la speranza di aver ripulito un’immagine che in tanti hanno provato a compromettere.
Lo sconforto, però, dura lo spazio di un secondo. Si brucia subito, scatenando quella rabbia sana, quell’agonismo che sempre ho desiderato che le mie squadre fossero in grado di liberare sul campo, divorandosi l’erba, prima di schiantare ogni avversario.
È questo sentimento, giunto alla consapevolezza di non aver mai fatto del male a nessuno, di non aver mai creato alcun sodalizio per delinquere; a spingermi ancora una volta, anche se a molti sembrerà una folle lotta contro i mulini a vento, a rialzarmi, combattere e cercare di far valere le ragioni non dell’ex direttore generale della Juventus. Non è questo l’importante. Le ragioni piuttosto, di un uomo che è convinto di essere stato accusato di qualcosa che non ha commesso.
Lo faccio per me, per quell’amor proprio che penso debba contraddistinguere le azioni di ognuno di noi, e proverò a farlo anche per quelle persone che seppur meno dilaniate di me nel corso di questi anni, non hanno avuto la mia stessa determinazione, la mia stessa fortuna (serve anche quella in certi momenti), e che hanno visto rovinata la loro vita.
Continuo, così, ad affidarmi alla giustizia terrena, in tutte le sue accezioni, in tutte le sue forme.
Siamo al termine della prima frazione di un match che ne prevede almeno tre per determinare i vincitori e per condannare i vinti.
Ci sono tante altre parole da scrivere, tante verità da scoprire, e soprattutto servono grinta e coraggio. Due caratteristiche che, succeda quel che succeda, a me non mancheranno davvero mai.
Non parlo di calcio, per questa settimana, ma solo perché non si gioca, e la Nazionale non ha la possibilità di accendere alcun entusiasmo almeno per questi dieci giorni, se ne riparlerà al momento degli Europei.
Spendo solo una parola, inevitabile, per la squadra che più delle altre ha contraddistinto il mio passato da professionista, forse perché quella in cui ho vinto di più, forse perché l’ultima.
Un club al quale ho dato tutto me stesso, a cui devo tantissimo, ma che a sua volta non può sentirsi in credito con me. Quegli scudetti che giustamente reclamano, sono quelli conquistati anche grazie al mio lavoro. Ero il direttore generale di quella squadra, abbiamo gioito insieme, mi sarebbe piaciuto avere un altro tipo di considerazione.
Questa è il calcio, questa è la vita, questa è la strada. In salita, difficile e tortuosa. Ma non mi spaventa.
La Redazione
C.T.
Fonte: Luciano Moggi per Tuttomercatoweb
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