Via San Paolo, Casoria, arancio tenue alle pareti e arredamento studiato in funzione del mega televisore al plasma. A casa D’Anna la partita la guardano in otto. Don Raffaele, ottant’anni vissuti in funzione del Napoli, sua figlia Maria, Gianni, metà uomo e metà poltrona, Bruno, pensionato di Fuorigrotta in trasferta per motivi scaramantici, Pasquale, il padrone di casa, con papà Vittorio e la moglie Angela, e Michele, con le tasche piene di amuleti a riempirle come sassi. A lui la palma di tifoso: il suo battesimo al San Paolo fu quando aveva due mesi. La mamma lo allattò sugli spalti. I posti sono fissi, il rituale pure. Si pranza entro le 14,30 perché poi bisogna vedere i volti negli spogliatoi, per capire come stanno i ragazzi. Ragù napoletano, brace, parmigiana di melanzane, Manduria. Alle 15 il silenzio quasi rompe i timpani. La partita si mette subito male, con il vantaggio del Genoa. Don Raffaele è in trance, non indovina il nome di un giocatore, Michele è tranquillo, Pasquale è sospeso in un limbo tra passione e delirio. L’intervallo li vede immobili, anche se dentro sono tutto un sussulto. Si riprende ed è Mesto-gol. Michele perde il suo aplomb e batte il cinque a tutti. Ma non basta, siamo di nuovo sotto. L’aplomb non lo ha più nessuno, a questo punto. È tutto uno spingersi a vicenda sul divano per ogni occasione mancata e pericolo scampato. Al gol di Cavani sembra che un fascio di luce illumini la stanza. Poi tanta sofferenza. Fino alla meravigliosa cresta di Hamsik. Pasquale e Michele si abbracciano e non si staccano più. Quando arriva il piccolo Insigne non c’è più nulla di distinto, urla disumane e tutti giù per terra. Si celebra la zona Mazzarri. Bentornata.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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