Maurizio De Giovanni per “Il Mattino”
“Fate un esperimento. Entrate in un bar, uno qualsiasi, anche dove non siete mai stati. Ordinate un caffè, fate un sospiro mentre girate il cucchiaino, alzate lo sguardo sul barista e dite: voi come la vedete? Così, senza soggetto, senza delimitare l’argomento, fuori dal contesto. Novantanove virgola qualcosa baristi su cento, nella cinta urbana, risponderanno con un commento ottimista o pessimista sulla Partita: Juve–Napoli del prossimo 20 ottobre. Lo sappiamo bene: quella che i napoletani hanno per la loro squadra è una malattia. E non a caso si chiama tifo; quello che altrove è limitato a fasce ristrette della popolazione qui diventa meravigliosamente trasversale, accomunando nella gioia e (più spesso, ahimè) nella sofferenza professionisti, pescatori, impiegati e spacciatori. Qualche marziano che non vuole aver niente a che fare col calcio, aggirandosi in questi giorni per la città, consoliderebbe l’opinione di un popolo folle e inconsapevole della serietà dei propri problemi, in eterna rincorsa ideologica dietro a un pallone che rotola altrove per imperscrutabili vie.
L’atmosfera è quella del film Mezzogiorno di fuoco: un’intera città in attesa del compiersi del destino. La tensione cresce palpabilmente di ora in ora, di minuto in minuto, favorita dalla sospensione degli eventi relativa alla sosta del campionato. Anche la Nazionale, che da molti anni solleva tiepidi interessi, non viene vista che come un inutile impedimento, un ostacolo ritardante sulla strada della Storia; o come un casus belli, un motivo di ulteriore conflittualità tra i fronti opposti. Dotto’, dirà il barista pessimista, avete visto? Cavani deve giocare in altura, e torna giovedì stanco morto e col jet lag; e Prandelli, che è juventino nell’anima, fa giocare De Sanctis al posto di Buffon sperando che si infortuni. Ma quando mai, dotto’, risponderà il barista ottimista: giocare nelle nazionali fa bene al morale, e se uno vuole avere una squadra forte allora i nazionali li deve tenere per forza. E poi, magari, a Pirlo gli viene una puntina d’ernia, che tiene pure un’età.
In questo contesto, abbiamo detto, la tensione cresce palpabilmente. Negli uffici l’argomento riaffiora ogni mezz’ora, sulle ali del costante pensiero degli impiegati e dei dirigenti. Nelle case i padri e i figli non parlano d’altro, con l’appassionata interlocuzione di molte madri e sorelle. I commercianti sospirano per un sabato pomeriggio che fatalmente vedrà ridursi la clientela potenziale, e meditano un’estemporanea chiusura per poter almeno soffrire davanti a uno schermo.
I bollettini dell’ultima tornata di partite delle nazionali saranno scrutati con angoscia: mai un Bolivia – Uruguay avrà un pubblico così vasto di cuori in tumulto al di là dell’oceano; la Celeste, per qualche ora almeno, sarà molto più fonte di preoccupazione per i campani di quanto lo sia il Celeste per i lombardi.
Ma, nazionali o non, il conto alla rovescia è già scattato: e se il barista pessimista firmerebbe volentieri per un pareggio, il barista ottimista, e tutti noi con lui, sogna il formarsi di una giornata epica, che entri a far parte della memoria come le non moltissime che l’hanno preceduta. Perché se c’è una partita incline a fare la Storia, quella è Juventus – Napoli a Torino. In un pomeriggio di sabato che sarà comunque di fuoco”.
La Redazione
P.S.
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