Il primo scatto, nello spogliatoio. Ma da fermo. Castelvolturno, ieri. Posa da modello, un sorrisino, la barbetta incolta e il flash. Dries Mertens con le nuove scarpette griffate. Belle. Sobrie. Bianche con un baffetto colorato. La bandierina del Belgio disegnata sulla tomaia e il nome inciso. Ricamato. Omaggio della casa. Ci fossero stati dubbi sulla sua voglia di giocare, guardare la foto per capire: sembra un bambino che ha scartocciato il regalo sotto l’albero. E allora via pure col secondo scatto. Questo, in movimento. Scatto vero. Verso il campo. Per giocare. E dall’inizio stavolta. Trentuno minuti più recupero lunedi sera a Marassi. Un approccio. L’ansia da risultato, la necessità di rimontare e il cuore a vento tipico dei ritorni. Tutti. Sedici giorni di paura, stress e timori. Poi le parole più attese: la certificazione che il peggio era davvero passato. “Dai Dries, scaldati. Entri, tocca a te”. Un pezzo di partita. Ma pure un pezzo di se stesso ritrovato. Mertens c’è. E ora vuole tutto. Si scalda. Prepara le scarpette, le lucida con gli occhi. Mertens titolare dall’inizio. Stavolta non c’è ballottaggio che tenga, non ci sarà staffetta, non ci sono dubbi sull’opportunità di una ripresa graduale, da gestire senza esagerare. Per precauzione. Mertens fortissimammente Mertens. Lui per volontà generale. Di Benitez, innanzitutto. Sempre in emergenza. E poi la sua. Napoli-Empoli l’appuntamento per riprendersi completamente quel che era. L’adrenalina della vigilia. L’attesa. La frenesia che avvinghia l’anima. La spinta del San Paolo ad ogni accelerata. E la fatica che diventa piacere. I guizzi, i dribbling e le giocate importanti, senza più limiti di orologio, concorrenza e scelte. Certo della tenuta fisica. Gioca Mertens fino a che ne ha. E chi vuoi che lo fermi… La corsia sinistra è “sinistrata”. Infortuni (Zuniga e Insigne), terzini più che ali (Ghoulam) e altri destri adattati (Hamsik) per la causa. C’è però di nuovo lui. Il cootitolare per un anno e più della fascia. Mertens o Insigne. Il dilemma continuo per caratteristiche, condizione e atteggiamento tattico. Uno o l’altro fino a che ha deciso Benitez. Poi ecco la malasorte. E il medico costretto a mettere mano alla formazione. Insigne fa terapie: e per un po’ di mesi ancora. Mertens pronto. E davvero. Allenamenti e Sampdoria: verificato l’impatto, lo sforzo al rientro, la reazione del corpo alla rudezza dei contatti. Mertens è “capa tosta”. La prima domanda fatta ai medici la notte della botta in Belgio-Galles fu… “Ma posso tornare a giocare?”. E da lì le foto col pollice alto e la serenità che non l’ha mai abbandonato. Come Kat, la compagna che presto sposerà. E gli amici napoletani. I compagni di squadra. Cene, selfie e tante serate passate insieme: cibo light giapponese e grasse risate. Mertens carico. Con la voglia di chi da tanto aspetta. E da troppo si sente precario del ruolo. Un po’ in campo, spesso in panchina: 776’ giocati. Pochi. Come pure i gol fatti, appena due. Entrambi allo Sparta Praga. Zero gli assist, la sua specialità. Il colpo che più di altri l’ha forse portato a Napoli. Resistenza, talento, qualche gol e la gioventù. Ma poi i passaggi decisivi: cento totali quelli fatti in Olanda. Giustezza e testa alta. E il destro che fa ricami. Il sinistro, invece, quello della scarpetta, è per le foto. Mertens in posa. Fermo. Ma è l’ultima volta. Napoli-Empoli la fa tutta. E a tutta. Dall’inizio.
Fonte: Corriere dello Sport
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