La rivoluzione sportiva nei giornali degli anni Sessanta e Settanta porta la firma dalla scuola napoletana: Palumbo, Barendson e proprio Antonio Ghirelli. Dall’altra parte, sempre pronto alla polemica a colpi di editoriali, di belle pagine e pure di qualche schiaffo c’era la corrente milanese guidata da Gianni Brera. In mezzo c’erano loro, i grandi campioni di quell’era in bianco e nero: «Ghirelli e gli altri godevano di un prestigio e un affetto presso i tifosi non soltanto per le loro immense qualità professionali quanto anche per le loro doti umane che venivano percepite in ogni articolo». Il ricordo è di Alessandro Mazzola detto Sandro, oppure Sandrino, come a lungo lo chiamarono in riferimento, sempre, all’immane leggenda del padre Valentino, morto a Superga.
Un 5 in pagella di Ghirelli poteva togliere il sonno?
«Lo dice proprio a me? Ultima partita del campionato 1961/62 e Herrera finalmente mi schiera contro il Lecco: avevo debuttato l’anno prima nella farsa contro la Juventus in cui per protesta l’Inter mise in campo la formazione giovanile. Lo ammetto giocai malissimo, avevo in testa l’esame di ragioniere, dovevo prendere il diploma perché l’avevo promesso a mia madre. Il giorno dopo Ghirelli mi bocciò e titolò: ”E se si fosse chiamato Pettirossi”. Pensai che la mia carriere fosse finita lì».
Il riferimento era al papà?
«Sì. Ghirelli spiegava che se non fossi stato il figlio di Valentino col cavolo che mi avrebbero fatto debuttare così presto. Mi arrabbiai, per qualche minuto pensai di chiamarlo. Ma allora mica era come adesso: ai giornalisti si dava del lei e si portava un immenso rispetto. Poi però fu proprio lui a scrivere uno degli articoli più belli su di me».
Ce lo racconta?
«Novembre del ’62, io faccio un gol fantastico alla Sampdoria a San Siro. E lui mi ribattezzò Sandrino ”Meazzola”. Non ero nella pelle: avevo vent’anni e un grande giornalista come Ghirelli mi paragonava al grande Peppino Meazza».
Lo ringraziò?
«La prima volta che ci stringemmo la mano fu al Comune di Milano. Io mi avvicinai: ”Piacere, Pettirossi“, scoppiammo a ridere insieme».
Che ricordo ha?
«Allora c’era un gruppo di giornalisti che intendevano incidere sempre nelle scelte tecniche di club e della Nazionale. Se eri simpatico e ti facevi accettare venivi sostenuto e difeso. Se facevi la tua vita allora la strada era in salita. Ghirelli non era fra questi, esprimeva le sue idee e avevo l’impressione che non gli importasse mai incidere nelle scelte degli allenatori».
A Messico ’70 stava con lei o con Rivera?
«Mi sa con Gianni. Ma non c’era nulla di male: e poi Rivera era davvero bravo».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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