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Mazzarri, una favola da raccontare

Quando tutto ebbe inizio, 4 ottobre 2009, l’ultima volta in cui la Roma è riuscita a battere, nessuno si sarebbe spinto a tanto: centotré partite fa, stadio Olimpico, l’eclissi totale di Roberto Donadoni è nell’aria ma si concretizza con due schiaffoni rifilati da Francesco Totti, il simbolo d’una squadra con le stampelle, gioca e segna, cade e si rialza, e mentre il Napoli va a rotoli, piegato su se stesso, Walter Mazzarri sa già che tocca a lui e che deve preparare le valigie. Si parte, destinazione ignota: prima sarà Europa League e poi Champions, e dentro, in questo frullatore di ventisei mesi, c’è pure uno scudetto accarezzato con cura, blandito e coccolato. Riecco la Roma e tutto torna, soprattutto i ricordi d’una serata tortuosa, telefoni roventi che squillano a vuoto e certezze che si concretizzano nel silenzio collettivo: troppi indizi fanno sempre una prova, e però chi l’avrebbe detto che sarebbe andata così?

BABBO NATALE – «E poi arrivò babbo»: le stanze di Castelvolturno hanno fori nelle pareti, talvolta, e la battutina in tono assai confidenziale, rivolta ai calciatori, con i quali il feeling è inattaccabile, va di moda. «Quando arrivò babbo» disse una volta Mazzarri: Napoli punti 7, Bologna 6, Siena 5, Catania 4 e Atalanta e Livorno 3. Il resto è l’irragiungibile leggerezza di esseri che paioni extraterrestri, distanti anni luce: Inter e Sampdoria 16 punti in testa, Juventus e Fiorentina a 14. La svolta è un lampo accecante, quindici domeniche consecutive senza sconfitte, subito due vittorie – Bologna e Fiorentina – poi una gara mostruosa con il Milan (0-2 al quinto minuto, 2-2 dal 91′ al 93′ grazie a Cigarini e Denis); ma il volano è Torino, casa-Juventus, la gara da raccontare ai posteri, un 2-0 bianconero che nell’ultima mezzora viene trasformato in 2-3 e rappresenta la doccia d’autostima che inonda una città e che conduce dritti in Europa League, lasciandosi alle spalle la Juventus e la Fiorentina.

WALTER SECONDO – L’impresa è palpabile, costruita plasmando il Napoli a immagine e somiglianza, rivoltandolo nella coscienza, nella testa, pure nelle gambe, avendo avuto la possibilità di prepararlo sin dal ritiro: la Champions pare il sogno folle, invece è realtà. Trentotto domeniche danzando tra le stelle, spalla a spalla con il Milan sino allo scivolone interno con l’Udinese, poi a ridosso dell’Inter dal quale ottiene – alla penultima di campionato – il passaporto: ventuno anni dopo Maradona, è qui la festa, in una Napoli incredula, ubriaca di felicità, persino reduce da una Europa League evaporata a Vila-Real, in una nottata che precede di pochi giorni il big match di San Siro con il Milan e che quindi costringe al turn-over, in una sarabanda di occasioni sciupate sotto porta che lasciano però blandi rimpianti. Perché, alla fine, 15 maggio 2011, la storia va riscritta.

RICOMINCIO DA TRE – I malesseri di un’estate bollente vengono inghiottiti da un trimestre esaltante, che comincia il 14 settembre a Manchester (contro il City) e si completa il 7 dicembre in Spagna, ancora a Vila-Real, cittadina stavolta accogliente: gli ottavi di Champions rappresentano la vetta più alta dell’ultimo ventennio e certo non oscurano il 3-1 sul Milan e lo 0-3 in campionato. La corsa continua e domenica c’è la Roma, mai più vincente sul Napoli dal quel 4 ottobre: un pareggio e due vittorie per Mazzarri, da quando tutto ebbe inizio…

La Redazione

A.S.

Fonte: Corriere dello Sport

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