«Se chiudo gli occhi e penso alle mie estati da bambino a San Vincenzo – dice Walter Mazzarri, allenatore del Napoli- mi vedo palleggiare sull’asfalto, nella strada vicino al panificio dei miei, dove preparavamo le porte con i sassi. Avevo il sangue alle ginocchia per le cadute. Perché non c’erano le ginocchiere come adesso, ma ero talmente felice da non avvertire alcun dolore».
Con la palla al piede il piccolo Walter sembrava un giocoliere. La gente che passava si fermava a guardarlo ammaliata, tanto che, quando anni dopo in paese si seppe che la Fiorentina lo aveva ingaggiato,nessuno si stupì, perché tutti sapevano che, prima o poi qualcuno si sarebbe accorto del suo talento e lo avrebbe portato via da lì.
Mazzarri era un bambino orgoglioso, che non voleva mai ammettere debolezze. E oggi, a 51 anni, ammette di esserlo ancora ricordando quei momenti: «La sconfitta mi dava fastidio, non solo nel gioco, ma a scuola e dovunque: se non arrivavo primo ci stavo talmente male da piangere per la rabbia».
Sanvincenzino, classe 1961, un passato felice come calciatore, il mister spiega che lui al mestiere di allenatore era predestinato: «Mi piaceva organizzare le partite, tenere sotto controllo la squadra e, se vedevo che i miei compagni non si impegnavano abbastanza, ci rimanevo male» rivela, confessando che il rigore, la spinta per emergere, la capacità di lavorare sodo per raggiungere il miglior risultato possibile, la deve al padre Alberto, elbano di ferro, «che ora purtroppo non c’è più», ma anche alla madre, Edda cecinese, «una donna intelligente, con una grande filosofia, molto razionale», che da quando il suo bimbo è nel calcio legge solo giornali sportivi e, in televisione, guarda tutte le partite. Una vita quella di “Lone wolf, lupo solitario”- nome affibiato a Mazzarri per il carattere schivo e i capelli lunghi che portava un tempo – spesso al centro di polemiche, ma coerente e onesta, in un mondo come quello del pallone, dove farsi tentare è molto facile. E un privato assolutamente top secret, non perché lui abbia qualcosa da nascondere, ma per far fede al suo carattere riservato.
Empolese d’adozione- a Empoli c’è la sua casa, dove abitano la moglie Daniela, conosciuta durante l’università e il figlio Gabriele «che al calcio preferisce lo studio e mi dà molta soddisfazione»-, Mazzarri appena riesce a ricavarsi qualche spazio torna anche nella sua San Vincenzo «dove vivono mia madre e mio fratello Stefano, e dove sono stato fino agli anni delle superiori, prima di andare a Firenze»spiega.
Perfezionista, istintivo, presuntuoso, freddo e antipatico per chi di lui vede solo l’involucro. Sincero,sensibile, onesto, professionale per chi della sua vita sa qualcosa di più, Mazzarri è un toscanaccio affascinante, con gli occhi del colore del suo mare. E, si mormora, che da ragazzo, proprio grazie a quegli occhi, ma anche alla sua abilità nel palleggio, abbia collezionato cuori infranti, sia di sanvincenzine che di turiste. Ma lui smentisce e racconta: «C’è stata una fase della mia vita in cui andavo al Paradisino, uno stabilimento balneare dove i giovani si riunivano la sera. Era il periodo delle ragazzine, dei primi amori. Ma, a dire il vero, allora fisicamente non ero granché – confessa- fino a una certa età sono stato un tappetto poco sviluppato, talmente piccolo da non arrivare ad aprire le porte del treno che mi portava da San Vincenzo a Follonica, dove frequentavo ragioneria e mi allenavo. Tanto che, proprio per il mio fisico scarso, tardai a entrare nella Fiorentina, perché gli allenatori pensavano che non potessi crescere più».
Il mister spiega anche che, fra la scuola, dove andava con profitto, il calcio e il lavoro nella bottega dei genitori – che con sacrifici avevano messo su uno dei panifici più importanti della Val di Cornia «in via Monte Grappa dove c’ è ancora, solo che adesso lo abbiamo dato in gestione»-, di tempo libero per divertirsi ne aveva pochissimo.
«In spiaggia, per esempio- dice – ci andavo qualche volta, dalle due alle quattro del pomeriggio – sempre a quella libera accanto al bagno Delfino e invece di stare con gli amici mi addormentavo per la stanchezza, svegliandomi nell’ora in cui dovevo tornare al negozio».
Una storia quella di Mazzarri iniziata dando dei calci a un pallone di cuoio, tra i sacchi di farina, l’odore del pane appena sfornato e una famiglia molto esigente. «Mio padre – spiega con orgoglio il mister- ma anche la mamma, hanno cresciuto sia me che mio fratello con un grande rispetto per il lavoro… Speravano in cuor loro che continuassimo l’attività di famiglia. Poi però, vedendo che io avevo un talento naturale per il calcio, sport che peraltro lui amava, e che Stefano – ora dirigente alle acciaierie Lucchini di Piombino- era uno studioso, ci hanno lasciato camminare come volevamo, coinvolgendoci però sempre nell’azienda».
«Ricordo – dice – che pur essendo già capitano della Fiorentina Primavera, quando tornavo a casa per le ferie, dovevo alzarmi alle 5 per aiutare gli operai a fare il pane. Ma non ho mai sofferto per questo e quei giorni d’estate nel forno, al caldo, con il pallone nella testa e la farina nelle mani, li rammento sempre con grande nostalgia: giorni sereni, che hanno contribuito a formarmi, in quella bottega che ai miei è costata sudore e fatica. Una fatica che ha permesso a me e a mio fratello, non solo di vivere dignitosamente, ma anche di scegliere la strada che volevamo e che, per questo, deve essere rispettata».
Fonte: Il Tirreno.gelocal.it
La Redazione
M.V.
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