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Mazzarri: “Il simbolo del Napoli è il gruppo”

Le notti son fatte per sognare: gli occhi cerchiati da una felicità mai stanca, lo sguardo perso in nuvolette di fumo e fotogrammi che s’accavallano e riempiono d’orgoglio, mentre intorno è gioia e delirio. «Siamo orgogliosi di ciò che siamo riusciti a conquistare, ventuno anni dopo». Napule è mille culure ma in quell’azzurro intenso che ora ammanta l’Europa del calcio che conta, l’uomo solo al comando scopre d’essere uno e trino, un po’ Dan Peterson e un po’ Mourinho, un po’ Velasco e – sinteticamente – Walter Mazzari, il genio ribelle e scientifico dagli occhi di tigre, il Masaniello della panchina intrufolatosi tra prìncipi e sceicchi per riscrivere la storia: «E’ un’impresa che dedichiamo ai nostri tifosi». Napule è a voce de’ criature ma la colonna sonora d’una città ricostruitasi sulle macerie d’inizio millenio ora è nell’eco elettrizzante che s’ode nell’aria – the champioooonss – è ciò che resta del silenzio assordante di Walter Mazzarri, mercoledì sera, a «el Madrigal» è il frastuono d’una festa concessa «ai calciatori, principali protagonisti di quest’affermazione», la dolce ninnananna dei cinquemila all’aeroporto e un sussurro lieve, via etere, tra Sky e Radio Marte, per sfilare lieve, oltre l’apoteosi, e starsene appena un passo dietro la gloria e farsela scivolare dentro. Perché la favola continua: Napule è. 

LA FELICITA’ – «Sono felice, perché abbiamo regalato una gioia immensa ai nostri tifosi. Era da vent’anni che non si avvertiva quest’entusiasmo e aver ricreato un’atmosfera magica mi riempie di orgoglio, è un’emozione enorme».

LA PAURA – «L’ho avvertita per un po’, perché noi eravamo in apprensione e loro giocavano in scioltezza, perdevano persino tempo. Nell’intervallo ho provato a dare qualche input, ho detto ai ragazzi: attenti, qui con questo ritmo basso provano a fregarci. Giochiamo, giochiamo».

LA TRAPPOLA – «Il Villarreal faceva ostruzione, un sacco di palloni dietro al portiere. Ho temuto. Il pareggio magari gli andava bene, concedeva la possibilità di uscire dalla Champions con onore. Ma noi saremmo stati eliminati, bisognava sfuggire a quella trappola».

LA PRESSIONE – «C’erano alcune cose che non mi piacevano, anche l’atteggiamento dell’arbitro, che a me dalla panchina pareva condizionato. E allora serviva un mio intervento, andava messa pressione alla partita. Io del pareggio non sapevo cosa farmene. Noi volevamo qualificarci per gli ottavi, perché un’occasione del genere, che ci siamo costruiti con fatica, non poteva essere sciupata in una serata».

L’ESPULSIONE – «E’ stato un gesto piccolo-piccolo. Insignificante. Ho provato a scuotere i ragazzi a modo mio, a volte bisogna inventarsi qualcosa. Era un messaggio, quello: un modo diverso per stimolare la squadra, per accenderla. E il Napoli ha risposto immediatamente».

LA MIA GENTE – «Su twitter qualcuno ha scritto che ha intuito cosa si nascondesse dietro quella spintarella che ho dato a Nilmar. Ma io so bene che oramai i tifosi mi conoscono, con loro ho un rapporto stupendo, c’è feeling dal primo giorno, ci intendiamo senza che neanche ci sia bisogno di parlarci. E’ come con i miei calciatori».

LA SQUALIFICA NO – «Se i giudici danno un’occhiata alle immagini televisive, si rendono conto che non merito di essere squalificato. E’ stato un momentino, nulla di eclatante né di violento. Un istante. Ma se mi fermano, c’è Frustalupi: è bravissimo, più bravo di me, come ha detto il campo. Merita una grande carriera, però quando io avrò lasciato il calcio. E voglio spendere una parola per tutti gli uomini del mio staff: eccezionali».

SPECIAL TWO – «Chiarisco immediatamente una cosa: io di Mourinho ho grandissima stima. Le vecchie dispute dialettiche sono figlie di un equivoco, ma a lui riconosco la grandezza del tecnico e del personaggio. Ne ho stima. E so che per vincere farebbe qualsiasi cosa. Intendo il calcio a modo suo».

SILENZIO D’ORO – «Ho preferito non parlare, a caldo, per la tensione vissuta ma soprattutto per lasciare il palcoscenico ai calciatori, i grandi protagonisti di questa impresa. Io devo essere il loro ombrello, ci metto la faccia quando le cose vanno male. Ma la scena doveva essere di chi in campo ha meritato questa qualificazione storica».

VERSO NOVARA – «Non sarà facile ricaricarsi immediatamente, perché sfide come quelle di Vila-Real prosciugano fisicamente e nervosamente. Prima di imbarcarci sul volo che ci riportava a Napoli, ho parlato con Lavezzi e Gargano di quello che ci aspetta a Novara, ho abbozzato un programmino di lavoro. E ho pensato che era giusto concedere un giorno di riposo. Meritatissimo».

DENTRO L’EUROPA – «Un anno fa, da debuttanti in Europa League, abbiamo superato il turno facendo sette punti. Quest’anno, da debuttanti in Champions, ne abbiamo fatti undici, in un girone terribile, il girone della morte. E’ la testimonianza della nostra crescita. Che qualcosa ci sia costato in campionato, non meno di quattro-cinque punti, e qualche altra cosa rischia di costarci ancora».

IL TORMENTONE JUVE – «Se ne riparla ancora e io rispiego: erano discorsi che sarebbero dovuti rimanere inter nos, ma questo è capitato ormai nella stagione passata, Ora sono qui, concentrato sul Napoli e su questo trittico di partite. Prematuro parlare di mercato: abbiamo investito su giovani di prospettiva che stanno maturando; e abbiamo una rosa che magari ha persino bisogno di essere sfoltita, perché qui c’è chi resta a casa e chi va in tribuna».

BARCA E DINTORNI – «Chiunque ci capiti, faremo l’impossibile per rendergli la vita difficile. Ci godiamo questo momento, pensiamo al Novara. Non ho rivincite da prendere con il Barcellona, e poi quella era una amichevole».

LO SCUDETTO – «Tutto è possibile, sia in negativo che in positivo. Ma bisogna fare attenzione agli incidenti di percorso, che in una stagione rischiano di compromettere un lavoro intero. Però siamo stati protagonisti di qualcosa d’eccezionale e queste vittorie alimentano l’autostima, la convinzione in se stessi».

BENVENUTO CARLITOS – «Se dovesse arrivare, sarebbe un campione che si aggiungerebbe ad altri campioni. Però, poi, se gioca lui ne esce un altro. E comunque andrebbe a finire in una squadra che, come dice Antonio Conte, ormai vince passeggiando».

RIDO, ORA SORRIDO –  «E’ vero, sono spesso contratto, ma è il mio modo di essere. A Vila-Real non ho esultato ai gol, ma alla fine: è un periodo di gare che si chiudono con rimonte, ho atteso il triplice fischio. Poi ho fatto come tutti i tifosi del Napoli. Sono felice di essere l’allenatore di questi ragazzi, di De Sanctis che è strepitoso, di Grava che è sempre partecipe, di chiunque, perché non amo parlare dei singoli: il simbolo, qua, è il gruppo. E questo gruppo ora è rispettato da qualsiasi avversario».

La Redazione

A.S.

Fonte: Corriere dello Sport 

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