E adesso (forse) tocca a lui, che avrà tempo per prepararsi all’evento, lasciandosi scivolare da dosso lo stressa da prestazione e qualsiasi (umanissima) emozione. L’ora e mezza di Lorenzino Insigne s’avverte nell’aria, mentre gli aerei stanno ancora depositando in giro per l’Europa le tossine di Pechino e Palermo resta un punto che si perde all’orizzonte, mischiata tra gli appuntamenti di un calendario già fitto e persino già impregnato di veleni.
Palermo, domenica 26 agosto: potrebbe succedere, dovrebbe succedere, se Mazzarri dovesse lasciar perdere la soluzione Hamsik alle spalle di Cavani, per tenere sempre un attaccante (puro) alle spalle del matador.
SI SCALDA – Meno quindici, c’è tempo per ragionare, per lasciarsi Il pupillo di Zeman sta guadagnando consensi rapidamente. Il modulo lo ha mandato già a memoria: è in pole, andare alle valutazioni del caso: però, mentre il 4-2 del «Nido d’uccello» fa ancora molto male, il Napoli sa bene di avere tra le mani un talento da dover gestire con cura e un bomber su cui fare affidamento. Lo dice il Foggia, lo conferma il Pescara e pure le amichevoli di questa estate hanno ribadito un concetto largamente diffuso dopo l’ultimo biennio e del quale si è convinto anche Mazzarri: quel giovanotto senza macchia e senza paura, può diventar qualcuno. E allora, quando si ricomincerà a fare sul serio e bisognerà affrontare (già) l’emergenza, retaggio di una notte, Lorenzo «il magnifico» Insigne avrà qualcosina in più del 50% di indossare la maglia del prepartita, che poi introduce a quella della sfida. Prima c’è l’Under 21, però.
GIA’ FATTO – Il modulo gli è chiaro, gli è entrato nella testa, e s’è notato con il Leverkusen, la sera in cui il San Paolo l’ha scoperto per davvero, dopo averne sentito parlare. E prima, a Dimaro, in quelle due settimane di ritiro, Mazzarri aveva avuto la conferma di quanto intuito: il talento è racchiuso nella testa, ancor prima che nei piedi, d’un ragazzo che sa cosa fare, sa come farlo e aspetta di poterlo dimostrare, in qualsiasi zona del campo. E ora che non ha più il 4-3-3 di zemaniana ispirazione, pure semplicemente danzando alle spalle di Pandev o di Vargas in gare apparentemente «inutili» eppure sufficienti per indure Mazzarri ad insistere e Bigon a sbilanciarsi. «Noi come calciatore lo conoscevamo già e sapevamo di cosa fosse capace; ma in questo periodo ha stupito soprattutto per la sua serietà, l’umiltà e la cultura del lavoro che ha inculcato in sé».
LUI E IL MATADOR – Il primo Insigne in salsa partenopea non ha mai avuto il piacere di incrociare Cavani, di afferrarne i contenuti, di poterlo decifrare per riuscire poi più semplicemente a dialogare in campo; ma nella Pechino ante-Mazzoleni c’è stato il contatto e poi una settimana intera di frequentazione e la sorpresa di scoprirli passeggiare assieme e parlarsi lungo il viale che conduce a Piazza Tieannmen, generazione di fenomeni accertati o da legittimare che si concedeva una passeggiata e si scambiava le interpretazioni sul calcio.
SENZA IL BOEMO – L’Insigne dell’ultimo biennio è materia grigia allo stato puro, esaltazione da e per l tridente, l’espressione più viva del football zemaniano costruita non soltanto attraverso i gol ma pure con gli assist, i movimenti a rientrare e ad uscire e persino una fase passiva che ne ha esaltato la disciplina tattica. Le trentasette reti tra la Prima divisione e la B costituiscono un ragguardevole bigliettino da visita in cerca di conferme e Napoli, con quella maglia che pesa e che però rappresenta la sua massima aspirazione, non chiede altro che bagliori del recentissima passato e la controprova che pure al di fuori di quel 4-3-3 e del suo indiscutibile maestro ci sia (pure in prospettiva) lo stesso Insigne.
La firma sul quinquennale è una conquista faticosa strappata sui campi della provincia del calcio ma adesso che sta per partire (seriamente) l’avventura c’è da cominciare a galleggiare nello spazio e dimostrare ch’è veramente nata una stellina.
Fonte: Il Corriere dello Sport
La Redazione
M.V.
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