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Mazzarri e Napoli per volare in Champions

Dopo Parma, c'è stata la frenata che contro l'Atalanta dovrà essere ripresa

Dov’è l’errore? Dal Napoli delle sette meraviglie ad oggi son passati cinque mesi: e in quello spazio che contiene un bel po’ d’interrogativi, il dubbio che nasce spontaneo è racchiuso in quella differenza (abissale), nella double face d’una stessa entità, prima strepitosa e poi umanissima. C’era una volta un dream team, eh sì: sei vittorie ed un solo pareggio, quattordici reti segnate e (appena) tre subite, la freschezza d’inizio anno che sosteneva le idee tattiche e una bramosia riscontrata in casa e fuori. Poi il tempo è volato via, l’acido lattico ha appesantito le gambe, l’effetto-sorpresa è svanito ed è spuntata la normalità: due vittorie, quattro pareggi, un k.o., sei gol fatti, cinque incassati e una media scarabocchiata sui fogli verdi bianco e rossi che contenevano il Sogno. 

CHE AVVIO – La partenza lanciata è qualcosa di bruciante sulla pelle altrui, è la manifesta superiorità che emerge dal campo, è una forza fisica ma anche una capacità tattica di leggere le partite, di dominarle, senza lasciare scampo agli avversari: è un Napoli che ha corsa ma anche una libertà mentale assoluta, una «leggerezza» che lo fa travolgere il Palermo in casa sua e poi comunque controllare quella fase ascendente del campionato nel quale nulla sembra possa turbare l’andatura d’una formazione che lascia «intravedere» persino lo scudetto. Il top, al via, è alla quinta: quando, dopo lo 0-0 un po’ ingombrante di Catania, ottenuto contro una squadra che per la quasi intera partita s’è dovuta difendere in dieci, si progilia il primo, vero esame di maturità con la Lazio, Ci sono contenuti tattici rilevanti ed è un match che serve per misurare la consistenza del Napoli un un «faccia a faccia» con un’avversaria di primissima fascia: finisce troppo presto, praticamente senza cominciare, complice la serata no degli uomini di Petkovic ed un Cavani baciato dagli dei. E’ un 3-0 che marchia quella fase, che dà autorevolezza ulteriore al Napoli e lo elegge – attraverso il responso del campo – ad anti Juventus per eccellenza. 
LA FRENATA – L’ultima fotografia è in quel paradosso che comincia a Parma e poi si va concretizzando in un febbraio nerissimo, cominciato con un’agevole vittoria e consumato in una serie di nottate-no che incidono non solo sulla classifica ma anche sul morale e probabilmente sull’autostima. In sintesi: al «Tardini» (ma siamo ancora a gennaio) si ferma Cavani, all’asciuto da quell’85 celebrato a braccia larghe e lanciando baci all’universo, dopo l’assist di Insigne e il dribbling secco sul portiere in uscita che vale l’1-2; al san Paolo, invece, si blocca Hamsik, che apre le danze contro il Catania e che poi piomba nel suo letargo invernale: però sono tre punti; ma è con il Viktoria Plzen che si accende la spia e spuntano le riserve: finisce 3-0 per i cechi e le scorie riemergono con la Sampdoria (0-0) a Fuorigrotta. La «crisetta» diventa ufficiale a Plzen, con l’eliminazione (annunciata) e un 2-0 pallido, come la prestazione d’un gruppo che s’è perso. La reazione di Udine è furente sotto il profilo nervoso, esibita attraverso un’ora e mezza di supremazia territoriale che non riesce però a demolire le resistenze friulane. E quando invece svanisce la speranza di regalarsi un’annata di dimensione oniriche, il Napoli certifica le sue difficoltà: l’1-1 con la Juventus concede alla Vecchia Signora il vialone che conduce allo scudetto ma Verona è fatale nel 2-0, nella lampante idiosincrasia a scovare una soluzione offensiva, nella avversione della sorte – ribadita da Cavani dall’errore dal dischetto – e da un rallentamento che stride con quel battito accelerato riscontrato tra giugno e ottobre. E dunque: dov’è l’errore? 
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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