C’è qualcosa nell’umore di Walter Mazzarri che non ispira ottimismo. Lui garantisce di non essere l’allenatore più turbolento del calcio italiano, più espulso. Eppure l’altro giorno ha rimediato il ventesimo invito ad abbandonare la panchina. Si sa, il tecnico vive la partita in maniera sofferta, in panchina si siede pochissimo, preferisce stazionare (ma in maniera dinamica) sul confine dell’area tecnica (superandola spesso), guidare la squadra, dare indicazioni. A volte resta vittima di banali incomprensioni con il quarto uomo o con l’arbitro, a volte di intemperanze non gravi. Il tecnico è perfezionista, l’uomo piuttosto ombroso. Così è sempre stato. Ma quest’anno sembra esserci qualcosa di diverso. Appare quasi schiacciato dalla responsabilità, dal fatto che questa volta il suo Napoli non è una outsider ma una delle favorite (almeno così a molti, quasi a tutti sembrava), una concorrente non non diretta sicuramente non indiretta o trasversale della Juve. Soffre le critiche, le vive quasi come un fatto personale eppure a parte i colleghi che hanno vinto scudetti e coppe, pochi altri sono stati gratificati con la qualità e la quantità di elogi e riconoscimenti che in questi anni gli sono stati tributati. La stanchezza sta diventando il filo conduttore delle sue analisi post-partita, eppure in Europa League ha utilizzato una squadra completamente diversa da quella mandata sul terreno di gioco in campionato. I riferimenti all’anno sabbatico sembrano “figli” di una condizione psicologica che gli intossica l’anima. Delle sue squadre è stato quasi sempre il valore aggiunto, quest’anno, invece, non riesce a esserlo. E’ come se preoccupazioni nuove si fossero insidiate in lui minando le certezze pure accumulate in una carriera straordinaria.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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