Maurizio de Giovanni per “Il Mattino”:
“Immaginate di essere quello che siete, cioè tifosi del Napoli. Di quelli tifosi da sempre, di generazione in generazione, nati e cresciuti in una famiglia che vive di pane e pallone. Ma tifosi veri, i cosiddetti malati; quelli che la settimana gli cambia completamente, a seconda del risultato degli azzurri, con lo strisciante malumore in caso di pareggio, soprattutto in casa, soprattutto in piena corsa Champions, soprattutto senza sapere ancora il risultato del Milan a Torino. Poi immaginate di ritrovarvi, per magia, in campo, anzi in panchina, e proprio con la maglia azzurra addosso, intenti a scaldarvi in attesa che il mister vi chiami in causa; in una partita rognosa, anzi rognosissima, contro una squadra che più di una volta ci ha fatto prendere il proverbiale sacco di collera, in virtù di una terribile rivalità che dura da sedici anni. E immaginate che il mister vi mandi in campo, proprio come ultima carta, per cercare di usare il vostro talento come sale per insaporire la domenica.
Il fantasma della buccia di banana si era palesato ben due volte, ieri, sotto forma di due tiracci da fuori area; e in tutti i tifosi lo spettro di anni passati, con traguardi importanti persi in casa contro avversari di caratura inferiore, si era presentato davanti agli occhi. Ma c’è una differenza, stavolta. Quest’anno anche il Napoli, come tutte le grandi squadre, ha in panchina qualcuno che ha le armi tecniche e morali per risolvere la partita. Perché quella è la vera differenza: avere l’arma in più.
Per cui la palla capita al piccolo tifoso azzurro, defilato come al solito sulla fascia sinistra, nella posizione che con Zeman lo aveva portato imperiosamente all’attenzione di tutto il calcio italiano. E il piccolo tifoso, nel suo stadio, si accentra come al solito. E come al solito si porta via il difensore, e come al solito gli si sovrappongono sulla sinistra due compagni. La logica calcistica, di cui in gran quantità è in possesso il piccolo tifoso, gli urla di scaricare al compagno libero per l’ennesimo cross al centro. Ma stavolta mancano trenta secondi, e lo stadio è il San Paolo, e la palla è sul destro, e la partita è in equilibrio e c’è una Champions senza preliminari da agguantare. Così il piccolo tifoso si accentra, guarda la porta e il cuore alza la voce più del cervello. E il piede obbedisce alla logica del talento, e la palla va a morire dove deve, cioè nell’angolo opposto.
Tutti i tifosi hanno ricordato la volata del Pocho all’ultimo respiro di un Cagliari–Napoli, la folle corsa verso una vittoria, e il tuffo con la testa in un cartellone; stavolta tutti i tifosi ricorderanno la corsa della piccola maglia azzurra sotto la curva, per celebrare il trionfo della fantasia. E se c’è qualcuno che ieri si è guadagnato il diritto di ascoltare, in piedi e col cuore in gola, quella benedetta musichetta, e di guardare negli occhi, dal basso ma con orgoglio, i più grandi campioni europei, quello, signori, è Insigne Lorenzo da Frattamaggiore. Il tifoso azzurro col maggior talento.
Quello che ieri ha vinto la partita, ed è volato prima col cuore e poi con le gambe sotto la sua curva”.
La Redazione
P.S.
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