Ci sono giornate che non passano più, soprattutto quando le si trascorrono dietro le sbarre. E allora ci si arrovella, ogni pensiero diventa un tarlo. «Ma il giudice non doveva decidere se lasciarmi libero entro cinque giorni dall’arresto? Non è che mi state nascondendo qualcosa?», si sfoga Stefano Mauri con chi gli sta vicino. Gli spiegano che il termine scatta dal momento della richiesta di scarcerazione, lui rifà i conti e si rasserena. «Ho la coscienza a posto, sono tranquillo e fiducioso. Alla fine vincerà la giustizia».
Per il capitano della Lazio, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva nell’inchiesta sul calcioscommesse, è un fine settimana da detenuto. Guarda la televisione, non gli è permesso leggere i giornali, familiarizza durante l’ora d’aria. «È un’esperienza di vita», dice il giocatore.
Colpito, racconta chi gli ha parlato, dall’impatto con i compagni di cella marocchini: «I due ragazzi che stanno con me non hanno nemmeno un euro. Quando sono entrato, il primo giorno ho potuto fare la spesa straordinaria ed è bastata per tutti e tre. Ma adesso non hanno più da mangiare. Ho in tasca 250 euro, quando esco li lascio a loro».
Chiede come stanno la mamma e la fidanzata, dice di non riuscire a capacitarsi per il coinvolgimento di Alessandro Zamperini, l’amico di sempre diventato il suo grande accusatore. «Zampe», è il suo soprannome fra gli ex compagni, lo chiama direttamente in causa per due partite, Lazio-Genoa e Lecce-Lazio, e durante l’interrogatorio di garanzia il gip Guido Salvini ha chiesto conto al capitano dei frenetici sms intercorsi con l’amico.
«Ma lei l’ha conosciuto Zamperini? – ha replicato Mauri – È fatto così. Espansivo, irrefrenabile. Ci conosciamo da sempre, per noi è normale inviarci tanti messaggi». Un po’ meno per gli inquirenti, che grazie agli agganci delle celle telefoniche hanno ricostruito la triangolazione con Carlo Gervasoni e il capo del gruppo degli zingari Ilievski.
Domani i magistrati si pronunceranno sull’istanza di scarcerazione sia per Mauri che per Omar Milanetto, già in forze al Genoa e oggi al Padova. Il suo interrogatorio, a quanto trapela dalla procura, ha portato le indagini a un punto di svolta, con sviluppi definiti dagli inquirenti «improvvisi: la situazione sta diventando più complessa e in evoluzione». Questo per effetto di una domanda posta al giocatore dal pm Roberto Di Martino, che ha puntato l’attenzione su Genoa-Sampdoria del 22 maggio.
È il match delle polemiche, del gol all’ultimo minuto e delle furibonde contestazioni sugli spalti da parte degli ultrà. «Le risulta un accordo per il derby?», avrebbe chiesto Di Martino. Ma il gip, a quanto viene riferito, ha stoppato Milanetto rilevando che l’argomento non rientra fra quelli trattati nell’ordinanza di custodia cautelare e dunque va approfondito in un altro interrogatorio.
Il giocatore tuttavia ha fatto in tempo ad abbozzare la sua linea di difesa sul derby incriminato: «Ho fatto l’assist-gol per Boselli e poi mi sono scagliato contro i tifosi che contestavano il Genoa a fine gara, cosa inconcepibile se mi fossi venduto la partita».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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