Responsabilità oggettiva. In queste due parole sono racchiuse le motivazioni della possibile condanna del Napoli calcio dopo la richiesta del Procuratore Federale Stefano Palazzi di comminare un -1 ai partenopei per il caso Gianello. La responsabilità oggettiva è un istituto eccezionale per definizione che deroga al principio generale del diritto in base al quale ci deve essere un nesso di casualità tra il comportamento dell’individuo e l’illecito. Nella responsabilità oggettiva una società, il Napoli in questo caso, potrebbe rispondere dell’operato di un suo calciatore anche se alla stessa non fosse imputabile né il dolo né la semplice colpa. Lo dice espressamente l’articolo 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva: «Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5 (soggetti soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale)». C’è poi una massima della CAF del 2004/2005 che spiega le ragioni dell’introduzione della responsabilità oggettiva nello sport: «E’ correlata in primo luogo a necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati». In buona sostanza fare presto e, se possibile, anche bene.Fino a pochi mesi fa la tendenza dei Tribunali sportivi era stata quella di applicare pressoché automaticamente la responsabilità oggettiva alle società, per fatti commessi da un proprio tesserato. Rotta improvvisamente mutata alla luce di una recente sentenza del Tnas datata 20 febbraio 2012. Il caso era relativo al Benevento Calcio condannato dagli organi federali semplicemente per aver tesserato a gennaio un calciatore, l’ormai celebre, suo malgrado, Marco Paoloni. La società al momento dell’acquisto era totalmente ignara della condotta tenuta da quest’ultimo al tempo in cui era di proprietà della Cremonese. Eppure, dopo i primi due gradi di giudizio davanti agli organi federali, la società campana uscì con le ossa rotte: condannata a 9 punti di penalizzazione.
Inevitabile, a quel punto, il ricorso al Tnas. Ebbene il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport non solo ha ridotto la penalizzazione sensibilmente, da 9 a 2 punti, ma soprattutto ha stabilito che la responsabilità oggettiva non deve essere valutata «in maniera acritica e meccanica, bensì all’insegna di criteri di equità e di gradualità, tali da evitare risultati abnormi e non conformi a giustizia». Dunque, la grande novità sta nella nuova visione, più flessibile e non più meccanica della responsabilità oggettiva. Un’inversione di tendenza che potrebbe portare il Napoli ad una assoluzione completa. E pensare che proprio il suo legale, Mattia Grassani, nel 2008, interpretava la pronuncia della CAF in maniera molto restrittiva: «La responsabilità oggettiva consegue in termini giuridici e legali a quella materiale del responsabile fisico, e non può, quindi, in nessun caso, essere elusa, ma solo graduata e misurata nei suoi limiti quantitativi sanzionatori». In attesa del verdetto sul Napoli calcio, una cosa sembra certa: la responsabilità oggettiva, già istituto residuale nel campo della giustizia ordinaria, rischia di avere i giorni contati nel mondo dello sport. Una sentenza di assoluzione della società partenopea potrebbe essere un ulteriore spinta, forse decisiva, in questa direzione.
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