Orgoglio Juve. Quattro punti in due trasferte dure e ravvicinate. Vittoria all’Olimpico con la Lazio e pari d’oro al San Paolo dopo incubi e tremori. Sembrava tutto finito, sul due a zero azzurro, invece Alessandro Matri ha avviato la rimonta: sesto gol in undici partite, una media straordinaria. «Io capocannoniere? Importa poco, conta la squadra» . Frase fatta, d’accordo, che però racconta un gruppo unito, sbucato in questa serata bizzarra da momenti complicatissimi e capace, infine, di raddrizzare un match compromesso: «Un pari non semplice da leggere, con aspetti positivi e negativi? Beh, diciamo che il risultato, alla luce del primo tempo, è buono di sicuro…». Onesto. E già pronto a far tesoro della lezione: «Non deve mai più capitare di scendere in campo così, dobbiamo sempre essere consci dei nostri mezzi. E’ stata una partita strana, anche se abbiamo preso gol nel nostro momento migliore» . Il lato oscuro della partita, poi la luce: «Siamo stati bravi a rimanere in gioco e strappare un punto importantissimo: vuol dire che la squadra c’è» . Carattere, non solo duttilità tattica: «I moduli – considera Matri – vanno e vengono: è fondamentale, piuttosto, che chi scende in campo metta sempre impegno e voglia di far bene».
PRIMA VOLTA – Marcello Estigarribia, altro eroe della serata, alla seconda apparizione da titolare, racconta il segreto della metamorfosi racchiuso in uno slogan riecheggiato negi spogliatoi: «Nell’intervallo ci siamo detti: “uccidere o morire”. Così è nata la nostra rimonta…». Il gioiellino pararuguaiano, che ha scavalcato nelle gerarchie di Antonio Conte campioni già affermati come Milos Krasic o Eljero Elia, non ha offerto solo una bella prestazione ma ha anche segnato il suo primo gol bianconero: «Sono molto contento – dice con semplicità -: è un’emozione segnare con addoso una maglia importante come questa» . Emozione amplificata dal fatto che per lui gonfiare la rete non è normalità: assist e cross prevalgono solito sulle reti, l’ultima in campionato risaliva al 2008, ai tempi del Cerro Porteno. Aveva sfiorato la rete a San Siro con l’Inter, ma Castellazzi riuscì a rattoppare: De Sanctis non ce l’ha fatta e così Celinho è stato decisivo, ravviando la rimonta già avviata da Matri e mortificata dal 3-1 di Pandev.
CONSAPEVLEZZA – Chiude Simone Pepe, l’autore del pareggio, terzo gol in tre partite che però non sono un record personale: «Pensavo di sì, poi mi sono ricordato che mi era già capitato ai tempi dell’Udinese. O almeno mi sembra. Vabbè, soffermiamoci su questo: ho fatto una bella corsa, però mi ha aiutato anche un rimpallo» . Gol a parte, ha regalato una grande prestazione in un ruolo che non gli appartiene: mezz’ala, tanto per gradire, lui che fa il terzino o l’esterno sui due lati, che ha giocato centravanti, che non è solo andato in porta: «Il mister mi ha chiesto di giocare in quel ruolo: ringrazio i compagni che mi hanno aiutato a non trovarmi mai in difficoltà» . E’ felice per come è andata, a un certo punto aveva temuto la prima sconfitta. O forse no, perché questa Juve ha risorse infinite: «Si era messa male, ma non ci siamo arresi: qualcuno, guardandoci, pensava fosse chiusa e invece siamo riusciti a risalire. Il mister, nell’intervallo, ci ha rimproverati perché eravamo più molli del solito e avevamo perso troppi contrasti» . Vale come una vittoria, sussurra qualcuno: «No, perché mancano due punti, perà questo risultato dimostra che il gruppo è unito e la squadra vuole togliersi soddisfazioni. Aumenta la consapevolezza, ma siamo ancora alla quindicesima: nessuno vuole nascondersi, come dice il mister, però è davvero ancora è troppo presto».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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