Chissà se a Madrid c’è un omologo del napoletano «vico Conte di Mola», quello celebrato da Salvatore Di Giacomo nella celebre canzone di fine Ottocento «E spingule francese», quella della famosa «mossa». «Chi me piglia pe’ francese, chi me piglia pe’ spagnola, ma io so’ nata?», ricordate? Ebbene, se c’è, se esiste, don Raffaele è nato proprio là, in quell’ideale, madrilena «callejon conde de Mola». Perché ormai è sicuro: il senor Benitez è il più napoletano degli spagnoli. O lo spagnolo più napoletano ch’esista, fa lo stesso. Malizia, furbizia e conoscenza. Oltre, si capisce, alla riconosciuta grande dignità d’allenatore. Roba che, fatta la somma, assicura una qualità fondamentale in questo mondo: quella d’annusare al momento giusto la puzza di bruciato e di squagliarsela in fretta dalla zona rossa. E la zona rossa stavolta è quel cerchio che segnala il pericolo di prenderne tante in Portogallo da rischiare di compromettere il turno già all’andata. Cosicché, dopo i due pari amari con il Genoa e il Livorno e dopo il jolly da tre punti pescato con la Roma, Benitez non si fida. S’infila il cappottone e si copre sino ai denti. Visto che il Napoli soffre e s’offre troppo agli avversari, anche ai più modesti, alla faccia del calcio che propone, Benitez – scusi don Rafa, non s’offenda – nel primo tempo organizza un mazzarriano catenaccio e, non più paladino del palleggio, pure lui s’affida al lancio lungo. Alla palla alta, al contropiede in campo aperto, favorito dalla difesa alta del Porto debole là dietro. Un altro Napoli, insomma. Poco internazionale, che sta dall’altra parte dell’estetica del calcio in cambio del pari senza gol. Come leggere, altrimenti la rinuncia a Inler ed il battesimo della nuova coppia Behrami-Henrique (un incontrista e un mezzo difensore) davanti alla difesa? E i rinculi più feroci che in passato di Insigne e Callejon con Hamsik di rinforzo? Insomma: da così a così, il Napoli che gioca in Portogallo. Una scelta giusta? Mah! Boh! Di sicuro una scelta dolorosa per Benitez. Un passaggio, infatti, troppo repentino dal 4-2-3-1 che propone al 4-4-1-1 che rinuncia, per non essere stridente. Troppo stridente. Perché non lascia alternativa tra il far prevalere la balzana teoria del «gioco gradevole e delle vittorie altrui», oppure far passare l’altra scuola: quella conservatrice che fa del successo, del risultato buono l’unico vero godimento del pallone, specialmente quando si gioca in coppa. Perché giocare per piacere è una bella cosa, ma giocare per vincere è tutt’altra cosa. Se poi si riesce a far risultato offrendo pure un po’ di calcio, beh, allora viva la terza via del calcio. E il Napoli la conosce questa terza via fatta, sì, di difesa e qualche rischio, ma anche di gioco palla a terra. Ed è questa, dopo il gol di Martinez, la chiave che il Napoli cerca nel secondo tempo, quando Benitez, ricorrendo a Pandev e Mertens cancella finalmente il passato e decide di giocarsi la partita. Ma è tardi, troppo tardi. Per fortuna, però, tra sette giorni c’è il ritorno. Ma, per favore, senza catenaccio signor Rafa.
Ciccio Marolda per il Corriere dello Sport
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