Un po’ di enfasi non guasta. «Se vince il Napoli, perde la mia Atalanta. Se vince l’Atalanta, perde il mio Napoli». Neanche un pari andrebbe bene, però. Pierpaolo Marino, direttore tecnico dell’Atalanta ed ex direttore generale del Napoli, definisce «figlie» le due squadre. E una, l’Atalanta, è «la più piccola, quella a cui guardi con più affetto».
Marino ritrova il Napoli e De Laurentiis, con cui ruppe all’inizio della stagione 2009-2010 dopo cinque anni di grandi successi e totale collaborazione. «Il 30 agosto, giorno del mio compleanno, De Laurentiis scrisse un biglietto: “Sei l’uomo del mio progetto”. Il 28 settembre mi dimisi dopo aver ascoltato una sua intervista».
De Laurentiis aveva affidato a Marino la guida del Napoli nell’agosto 2004 dopo aver vinto l’asta per il club fallito in tribunale.«Ero il direttore generale dell’Udinese, ma ripartii con entusiasmo dalla serie C1: il Napoli era nel mio cuore». Pierpaolo, avellinese, lo seguiva da bambino con il padre. Ne era stato il direttore sportivo nell’anno dello scudetto ’87. Non vuole definirsi il maestro calcistico di De Laurentiis, anche se lo è stato. «Posso avergli trasferito un metodo, con i miei difetti e i miei pregi. Non posso essere stato il maestro di un uomo più anziano, però rivendico il mio know how, i 32 anni di lavoro nel calcio e quanto ho fatto in quel Napoli, quando tutto era sulle spalle mie e dell’amministratore Chiavelli».
Stasera c’è il suo Napoli a Bergamo. «Solo tre giocatori della formazione che ha battuto il City in Champions non li ho presi io: Cavani, Inler e Dossena, anche se per lui avevo avviato la trattativa con il Liverpool. Ne sono orgoglioso. Abbiamo fatto scelte progettuali, vincenti sotto l’aspetto tecnico ed economico».
De Laurentiis e Marino cominciarono ad allontanarsi nell’estate 2009. «Forse perché riferii di una trattativa di mercato prima a Donadoni, l’allenatore, e poi al presidente, che era all’estero per lavoro. Tutto passato: con De Laurentiis ci siamo rivisti e abbracciati; dalla sua società abbiamo preso Cigarini». Definisce questo Napoli «opera del mio impegno, valorizzata dal lavoro di Mazzarri e dalla crescita dei giocatori. I miei giocatori: De Sanctis preso per niente; Cannavaro arrivato a costo zero; Lavezzi, Hamsik e Gargano. Nel 2007, quando li presi, dicevano: ma dove andiamo con ragazzini stranieri che fanno 62 anni in tre?». E dall’altra parte, la sua parte, c’è Denis. «Gli serviva solo un po’ di fiducia e Colantuono gliel’ha concessa. Io so come va con gli attaccanti: a Napoli si lamentavano di Carnevale, che poi segnò i gol scudetto, e a Udine fischiavano Iaquinta, diventato poi un grande bomber».
La Redazione
P.S.
Fonte: Il Mattino
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