“Buongiorno, sono qui per un regalo ad un neonato”. “Perfetto, le faccio vedere le tutine”. “No, non servono: prendo quelli”. Marek Hamsik ha il calcio nel destino. Sin da piccolo? No, molto prima. Suo padre era calciatore, sua madre campionessa di pallamano. Il nonno aveva già capito tutto. Ecco perché 28 anni fa, anziché lasciarsi consigliare dalla commessa, decise di omaggiare la nascita di suo nipote comprando degli scarpini da calcio neri coi bordi bianchi. Un modello classico che Marek avrebbe potuto utilizzare nel giro di pochi anni. Una speranza, più che un regalo. Oppure una splendida intuizione, di quelle che ti segnano per tutta la vita. La carriera di Hamsik è un tragitto di tappe bruciate, di indizi che fanno una prova, di step superati alla grande. Un continuo stupire, come quando nel ’98 segnò 16 reti in una sola partita. Un record che oggi, in Slovacchia, ancora nessuno è riuscito a frantumare.
Marek Hamsik, ovvero ventotto candeline su una torta di prodezze, sacrifici e idee chiare. Come quella capigliatura da non credere che spianò la strada al suo successo. Era il febbraio del 2006. Pierpaolo Marino, allora dg del Napoli, era allo stadio Rigamonti di Brescia per osservare da vicino Omar Milanetto. Marino prendeva appunti perché gli azzurri necessitavano di un regista. Al 55’, però, la penna smetteva di scorrere sul foglio bianco. Milanetto usciva tra gli applausi, il Brescia vinceva 3 a 0 contro l’Albinoleffe e la terza rete è a sua firma. Al suo posto ecco Marek Hamsik, che nel 2006 è semplicemente uno sconosciuto famoso più per una mega-cresta dai contorni dorati che per il suo talento cristallino. Marino, attento osservatore, nota entrambe le cose. I capelli sono bizzarri come quelli di suo figlio Gianmarco, la personalità tipica di chi farà strada. E’ subito colpo di fulmine.
Nell’estate del 2007 Hamsik approda al Napoli. Lo fa a braccetto con Ezequiel Lavezzi, un altro signor “nessuno” che i tifosi accolgono scettici nel giorno della loro presentazione a Castel Volturno. Allora era un po’ Nedved e un po’ Gerrard, oggi è solo Marek Hamsik. Un giocatore completo, un capitano orgoglioso, un leader silenzioso. Una voce costante nelle statistiche del Napoli, uno scalatore di classifiche che non soffre di vertigini e ogni anno si avvicina ai più grandi. Napoli ha imparato ad amarlo per la sua semplicità e rispettarlo per la sua lealtà, perché in campo è un esempio per i compagni e un vanto per la città: 90 reti in 8 stagioni, 2 Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. E poi la Champions League, l’Europa League, l’Intertoto, la Coppa Uefa, il Mondiale da capitano. Ogni gol una carezza al ciuffo, sù la cresta per accogliere l’abbraccio del San Paolo e quella rabbia disegnata sul volto bambino di un uomo nato maturo.
Ed ora, sul tavolo dei ricordi, 28 candeline da soffiare tutte d’un fiato, tornando per un istante indietro con la memoria. Perché il nonno c’aveva visto giusto e Marek non lo ha deluso neanche un po’.
fonte: gianlucadimarzio.com
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