Il calcio italiano rischia di lasciar circolare un’altra notizia imbarazzante in giro per l’Europa: la stampa spagnola, tedesca e britannica avranno di che (s)parlare, magari esagerando come fanno spesso, su un episodio di per sé già al limite della caricatura. Fra i pianti di Mesto e il teatrino di Sculli, un vergognoso atteggiamento intimidatorio di una grossa fetta della tifoseria genoana che, nell’impotenza generale, costringe ad una sospensione dell’incontro lunga oltre mezz’ora e tiene sotto scacco, per non dire sotto sequestro, decine di persone sul campo di gioco. E dopo la pausa i ventidue calciatori, shockati e ormai coi muscoli freddi, hanno paradossalmente ripreso a giocare.
Tutto è cominciato con un improvviso lancio di fumogeni e petardi, poi seguiti dall’immediata “occupazione” da parte dei capi ultrà del tetto del tunnel che porta negli spogliatoi. Le due squadre si sono rifugiate dall’altro lato del campo, mentre polizia e steward guardavano immobili i tifosi che inveivano e continuavano a gettare bombe artificiali sul terreno di gioco. Dopo venti minuti di immobilismo e discussioni fra arbitro, dirigenti delle due società e agenti della Digos, i giocatori del Siena sono stati rispediti dietro le quinte, seguiti poco dopo dalla terna arbitrale, e sul palcoscenico sono rimasti solo i rossoblù, per il secondo atto: “rossoblù” ancora per pochi minuti, perché l’ordine che viene dagli spalti è quello di togliersi le maglie e sottoporsi ad umiliazione pubblica. Alcuni obbediscono subito, Mesto prima scoppia in lacrime e poi si adegua, il capitano Marco Rossi si avvia verso i boss, in stile magazziniere con tutte le magliette in braccio, per consegnare il bottino ai sequestratori del tunnel e contrattare così la libertà. Mentre la polizia e la sicurezza continuano ad osservare inermi lo spettacolo, forse per il timore di peggiorare la situazione, già fin troppo tesa.
Quando ormai lo show sembra volgere al termine, Sculli decide che il dramma ha bisogno di un protagonista: è l’unico a non togliere la maglia, va coraggiosamente verso la linea di trincea, affronta a viso aperto e con fare eroico i minacciosi “pirati della Lanterna”, e in qualche modo non solo li convince che lui merita di tenersi addosso la sua maglia, ma li persuade persino a rinunciare a tutta la refurtiva, e Rossi può tornare indietro con le magliette. Seguono altre interminabili discussioni, Frey va a spiegare ai tifosi che si rischia la squalifica del campo e penalizzazioni di punti e in risposta ottiene valanghe di insulti, infine l’arbitro Tagliavento torna in campo e, con un finale che ha del sorprendente, si riprende addirittura a giocare, come se nulla fosse accaduto. In un clima piuttosto surreale, come è surreale il genere teatrale dello spettacolo ammirato oggi fra le mura del “Ferraris”.
Al di là del retrogusto tragicomico, l’episodio di Genova lascia dietro di sé un pesante strascico. L’immagine del calcio italiano viene un’altra volta messa in discussione: è grave il modo in cui i tifosi abbiano avuto piena licenza di minacciare direttamente undici persone, mettendone a rischio la sicurezza (e non solo la loro), e di costringere inoltre per mezz’ora decine di altri addetti ai lavori a rimanere sequestrati in una zona del campo temendo per la propria incolumità, mentre veniva paralizzato un intero incontro di calcio che, va ricordato, è uno sport e un divertimento e non un affare politico. Se è già difficile valutare la legittimità della violenza laddove un popolo insorga, ad esempio, in nome della democrazia, è paradossale vedere azioni anche solo vagamente simili in un impianto sportivo. La sconfitta è parte del gioco, ma soprattutto: il calcio è un gioco. Se la tessera del tifoso rappresenta un tentativo di monitoraggio utile ad assicurare un minimo di legalità, va considerato attentamente il ruolo e il potere che ancora sono in grado di autoattribuirsi i gruppi delle tifoserie organizzate, che intendono dettare la propria legge al di sopra di tutti, compresi gli altri tifosi pacifici. Senza considerare che per la seconda volta, dopo gli episodi di Italia-Serbia, il “Ferraris” ha mostrato di avere carenze nelle misure di sicurezza, dato che mandrie di ultras imbufaliti sono state in grado di migrare indisturbate da una parte all’altra dello stadio, riuscendo quasi a raggiungere il campo.
L’incontro, infine, è terminato, fra gli insulti e i fischi dei tifosi che avevano accompagnato anche la ripresa del gioco al 53’ minuto, punto in cui era stato interrotto il match. È stato lanciato anche qualche oggetto sui giocatori mentre rientravano. Anche se si è ripreso a giocare e la partita è arrivata fino al fischio finale, sarà fondamentale che la Lega prenda provvedimenti seri e significativi, quanto meno per chiarire la propria posizione rispetto a un episodio che va assolutamente punito. Ugualmente, le società dovrebbero adoperarsi per avviare un processo di mediazione culturale, utile ad educare le masse (in realtà per lo più minoranze, per fortuna) di tifosi che non sono in grado di rispettare la dimensione sociale delle manifestazioni sportive. In Italia si invocano stadi moderni e più “europei”, ma è impensabile immaginare modifiche alle strutture che le rendano più adatte alle famiglie e allo spettacolo, finché lo spettacolo è questo.
Lorenzo Licciardi
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