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Maradona-Messi, la sfida infinita. Stasera la Pulce torna in campo col Getafe. Nel 2007 segnò un gol “alla Maradona”

Ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due. Schiaccia la palla, Maradona. Parte sulla destra il genio del calcio mondiale. Può passarla a Burruchaga… sempre Maradona… genio genio genio c’è c’è c’è goooooooooool… gooooooool voglio piangere… Dio santo, viva il calcio… che goool Diegooooooool…. Maradona… c’è da piangere… scusatemi…. Maradona in una corsa memorabile, nella miglior giocata di tutti i tempi… aquilone cosmico… da che pianeta sei venuto… per lasciare lungo il cammino così tanti inglesi? Perché il Paese sia un pugno chiuso che grida per l’Argentina… Argentina 2, Inghilterra 0… Diegol, Diegol… Diego Armando Maradona… Grazie, Dio. Per il calcio, per Maradona, per queste lacrime… per questo Argentina 2, Inghilterra 0.

Forse la perfezione non è qualcosa di irripetibile, si innesta nel cuore di qualcuno per poi tornare ciclicamente. In questa caso il genio si è manifestato ben tre volte, per L’azione più bella della storia nacque in realtà nell’80 grazie all’intuizione di un piccolo geniola felicità del
popolo e il dramma esistenziale di un vecchio e malinconico telecronista. Stasera in Coppa di Spagna si gioca Barcellona-Getafe, come sette anni fa, il 18 aprile 2007, quando un ragazzo di vent’anni si sentì Maradona. Leo Messi, che tornerà stasera dopo un lungo stop, raccolse un passaggio di Xavi nella propria metà campo, saltò al primo tocco, con un tunnel, Paredes, poi Nacho, altro tunnel, prima di involarsi nella metà campo avversaria e saltare in slalom gli altri, uno dopo l’altro, a cominciare da Beleguer fino a ritrovarsi davanti il portiere, Luis Garcia, in uscita. Non pago, Messi dribblò anche il portiere per depositare il pallone nella porta vuota. Di destro. Ecco, tolto il piede destro, il resto fu la copia esatta del più bel gol di tutti i tempi, quello di un altro argentino, anzi, dell’argentino per eccellenza: Diego Armando Maradona. Era il 22 giugno dell’86, Mondiali in Messico. Ricevuta palla nella propria metà campo dal Negro Enrique, Maradona si girò su se stesso e con una veronica avviata da un colpo di tacco, un leggero passo di danza, superò in rapida successione Beardsley e Reid, poi Butcher per puntare l’area dove lo attendeva il centrale, Fenwick, l’ultimo uomo oltre il quale ci sarebbe stato solo il portiere. Fenwick esitò a uscire, convinto che Maradona avrebbe servito Valdano, solo, al limite dell’area. Beh, contrariamente a quanto sostengono gli storici, quell’indecisione è la cosa più poetica e umana di tutta l’azione: se il poderoso difensore fosse andato incontro a Maradona, il Pibe avrebbe servito Valdano e tutto questo si sarebbe perso. Invece Fenwick restò fermo, a protezione dell’icona. Stessa indecisione che risulterà decisiva nel gol di Messi, ventuno anni dopo: Alexis, il centrale del Getafe, resterà fermo perché nella zona del campo dove nell’86 c’era Valdano, adesso c’era Eto’o. Messi superò Garcia. Maradona, Peter Shilton. I sessanta metri corsi in dieci secondi da Diego e in undici da Leo. Dieci tocchi e una carezza uno, undici l’altro. Cinque avversari dribblati da entrambi. Infine, l’identica corsa celebrativa verso la stessa bandierina. Il Negro Enrique dirà sotto la doccia: «Va bene i complimenti a Diego, ma col passaggio che gli avevo fatto, se non avesse segnato sarebbe stato da uccidere» . In entrambi i casi, gli avversari, grandi il doppio dei due numeri dieci, restarono ipnotizzati spettatori di un incantesimo. Nessuno pensò, o fu in grado, di fermare con un fallo Maradona o Messi. Reid come Nacho. Beleguer come Fenwick. Dieci, undici secondi di libertà, di ribellione alla tirannia della maggioranza, la solitudine del genio. Segui il tuo istinto, segui la tua strada. I gol formidabili non spariscono mai del tutto, non evaporano nel cielo di uno stadio. Restano nell’immaginazione di un bambino, che lo conserva da qualche parte e se lo porta dentro. In quelle sfida al club madrileno la Pulce mostrò al mondo di essere l’erede del PibeMagari diventa giocatore e, mentre altri lo sognano, lui lo realizza, magari
no e si limiterà a ripeterne l’arte sul lavoro, in modo anonimo, forse lavorando a un tornio. In ogni caso, magia. Reincarnazione. Nessuno ha ancora emulato il gol in spaccata di Cruyff al Camp Nou o il sinistro a effetto dall’angolo di Totti contro la Samp, ma a Parma un difensore, Alessandro Lucarelli, ha segnato lo stesso gol di tacco, e nella stessa porta, di Mancini con la maglia della Lazio quindici anni prima. Messi è andato oltre. Il ragazzo, direbbe Valdano, non ha mai fatto niente per evitare i paragoni con Diego: appena due mesi dopo aver replicato il gol del secolo, la Pulce emulò il Pibe nel gol di mano, contro l’Espanyol quando, su cross di Zambrotta, anticipò il portiere colpendo il pallone col pugno sinistro. Poetica ribellione. Musica, anche se non tutti concordano, seppure gli argentini preferiscano la Mano de Dios al gol dei dieci tocchi, perché rappresentò la beffa ai danni degli inglesi, quattro anni dopo la guerra delle Malvinas. E comunque in spagnolo tocar vuol dire suonare, la toccata e fuga in re minore di Bach. Segui il tuo istinto, segui la tua strada. In realtà il gol del secolo era nato sei anni prima, nel 1980. Wembley, amichevole Inghilterra-Argentina. Maradona, ricevuta palla a metà campo, con una veronica si liberò di due avversari, poi saltò in slalom altri due per entrare in area, sempre sulla destra, fino a trovarsi il portiere in uscita. Diego mirò il secondo palo. Il pallone uscì. La notte, in albergo, Maradona ricevette una telefonata: «Stupido» , fu l’esordio. «Avresti dovuto superare il portiere e poi tirare» . Era il Turco, il fratello di Diego, da Buenos Aires. «Hijo de puta – rispose Maradona – è facile parlare stando davanti alla tv» . «Fidati – ribattè il Turco – se ti fossi portato il pallone sul destro, avresti sorpreso il portiere». Il fratellino aveva solo sette anni, il che spiega il livello di cromosomi calcistici presente in quella famiglia. Maradona se ne ricorderà sei anni dopo nell’azione che rese eterni lui, la partita e il terzo, inatteso, protagonista di questa storia, il telecronista Victor Hugo Morales. Uruguaiano di Cardona trasferitosi a Baires, viso malinconico ed enigmatico da film dei fratelli Cohen, Morales quel giorno raccontò, si esaltò e pianse lacrime vere al gol di Maradona, tra un misto di esaltazione e odio inglese. Mentre stava ringraziando Dio, tirò fuori una definizione, barrilete cósmico , aquilone cosmico, che diventò storia essa stessa, a conferma che l’arte genera arte. Niente di preparato, come usano i telecronisti moderni, ma emozione pura e incontrollata, la irripetibile solitudine di parole senza eco. Adesso Morales lavora come commentatore a Radio Continental e si appresta a vivere di nuovo da cronista i Mondiali nel continente americano, come nell’86, solo un po’ più a sud. Con una speranza: rivedere l’Argentina campione del mondo e Messi in versione Maradona anche in nazionale. E una paura esistenziale: e se dovesse ripetersi quel gol ancora una volta? E se il piccolo argentino tornasse a sfidare tutti e a puntare la porta, solo contro la maggioranza, con un paese dietro di lui chiuso a pugno? Victor sarebbe capace di trovare nuove parole, per raccontare? Segui il tuo istinto, segui la tua strada. Il resto, come sempre nel calcio e nella vita, arriverà da solo. E a volte, si ripete

Fonte: Corriere dello Sport

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