Messaggio. Appello. Richiesta di giustizia. E poi: emozioni e sentimenti che a stento tengono a bada rabbia e delusione nelle parole che Diego Maradona spedisce da Dubai. Parla per sei minuti, l’ex campione. E per sei minuti non c’è traccia di sorriso sul suo volto. «Non sono un evasore», ripete all’indomani della decisione della Commissione tributaria centrale che, respingendo la sua «richiesta di intervento adesivo» nel ricorso che ha scagionato definitivamente il Napoli di allora, Careca e Alemao, gli ha negato di godere anche del condono. Il che vuol dire che, al di là d’ogni artificiosa lettura di quest’ultima sentenza, per lo Stato italiano lui resta un evasore. Con un debito verso il Fisco di, euro più euro meno, una quarantina di milioni.
«Sono vittima», afferma Maradona. Ed ha ragione: è vittima di un paradosso giuridico che, nell’ambito dello stesso, iniziale procedimento, alla fine assolve tre dei quattro “imputati” e ne condanna uno – lui – rincorso dalle stesse accuse. Vittima di un diritto formale, non certo sostanziale. Vittima di notifiche mai notificate e di un ricorso mai firmato. «Voglio tornare in Italia, voglio tornare a Napoli, ma voglio tornarci da uomo libero. Voglio poter passeggiare per le strade di Napoli senza sentirmi braccato perché non ho fatto nulla. Qualcuno sta tentando di spezzare il rapporto d’amore che c’è tra me e i napoletani, ma non ci riuscirà. Ho commesso tanti errori in vita mia, ma con il Fisco non ho mai sbagliato», afferma con forza Maradona dal salotto della sua casa sul mare di Dubai. E ancora: «Qualcuno nasconde la verità e nascondere la verità è come rubare. Ebbene – dice Diego – a me che non ho mai rubato nulla, stanno rubando la possibilità di tornare a Napoli e di riabbracciare gli amici e la città che amo come amo l’Argentina».
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