Non ce la fa a galleggiare. È più forte di lui. «Vi pare che possa essere emozionato? Abbiamo perso, mi dispiace, ma io ormai non gioco più…», racconta alla fine della sua interminabile giornata. Maradona non poteva restare lì a Milano tra scioperi, liti con il fisco, lunghe trattative per esclusive tv. No, Diego, doveva venire all’Olimpico dove il Napoli di Rafa Benitez affrontava la Roma. Ha atteso sei ore in aeroporto, a Linate, prima di poter prendere un volo per la Capitale. Alla fine ce l’ha fatta. Come sempre.
È arrivato all’Olimpico quando la partita è già iniziata da una da poco più di otto minuti, attraverso un sottopasso lontano da tutti. Viene contattato dall’ad del Napoli, Andrea Chiavelli. Il club azzurro lo ha invitato ufficialmente al San Paolo. «Doveva essere qui, voleva esserci anche a costo di venire a piedi», spiega l’avvocato Pisani che lo scorta come un gendarme. Quando compare in tribuna vip col suo faccione stanco ma felice, al fianco della fidanzata, il cuore di migliaia di tifosi si illumina di gioia. E tutto si ferma. Come se in campo non ci fosse più la prima contro la seconda in classifica. Come se Roma e Napoli stessero giocando non per lo scudetto ma per una spremuta d’arancia. Lo stadio, d’un tratto, si illumina di Diego: tutti girano le spalle a Totti e Hamsik per guardare Maradona. Uno, due minuti d’applausi. Perché Diego Maradona è l’evento nell’evento.
Non era mai stato a vedere il Napoli da quando era andato via, nell’aprile del 1991. Nella vita di Maradona ci sono state mille vite: droga, arresti, sparatorie, infarti, alcol, abissi, resurrezioni. Ora Diego è lì, in tribuna che sprofonda tra i ricordi di quelle maglie azzurre che lo hanno consacrato imperatore del calcio. È lì ad immergersi nei pensieri. E a sentire di nuovo il pubblico napoletano intonare il suo nome. Tutto è personale, tutto lo tocca, tutto lo riporta in mezzo al campo. Questo lo stadio dove venne fischiato prima della finale mondiale del ’90 Germania-Argentina. E la ferita si allarga, perché quel dolore nel tempo è diventato un’altra piaga. Quella partita con la Germania, quella finale persa per un rigore che non c’era, quel Beckenbauer in doppiopetto che faceva il duce della panchina, quei fischi del pubblico italiano sull’inno argentino, nonostante lui l’avesse ricordato a Napoli, che l’Italia se ne strabatte delle città meridionali e dei loro problemi.
Lui non c’era ancora allo stadio, ieri sera, quando la curva romanista è tornata a cantalinare la nenia del disprezzo: «Lavali con il fuoco, oh Vesuvio lavali col fuoco». Ci fosse stato lui in mezzo al campo, magari avrebbe ripetuto quella frase di risposta, quel «hijos de puta» che fece il giro del mondo. Diego è lì. In tribuna. A pochi metri da Garcia e da Benitez, a pochi istanti da un campo di gioco dove lui era solo il numero uno. Ha il volto stanco, ma è impeccabile nel suo completo scuro. Tutto è sempre lì per Diego, a portata di mano e di cuore. Tifa Napoli, ma quando Totti si fa male anche Maradona fa una smorfia di dolore. Maradona vede e ascolta. Ogni volta che il Napoli va in affanno, qualche nostalgico si gira verso di lui. «Ah se ci fossi tu adesso in mezzo al campo». Nell’intervallo si chiude in una saletta con il presidente della Roma, James Pallotta. Un lungo, cordiale colloquio. Va via prima del match, passa per lo spogliatoio della Roma per salutare e consolare Totti. Per fortuna che c’è lui: «Oh mamma mamma…» canta la tribuna degli ultrà azzurri.
Fonte: Il Mattino
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