Dolore, fatica, emozioni. Eppoi le parole. Un gigante di cristianità» o anche «la mamma d’Italia» è raccolta nella sua limpidezza cristallina, in quell’umanità che converrà assorbire per sentirsi migliori e magari per esserlo un pochino, per cogliere la centralità dell’esistenza.
E, mentre intorno, altrove, ovunque in quella ch’è già stata ribattezzata «Piazza Ciro Esposito», si «sente» il peso denso d’uno strazio che poi finirà fatalmente per evaporare nei comuni mortali, Antonella resterà ciò che Giovanni Malagò, il presidente del Coni, ha colto in queste sacche di dolore che ha avvertito in se stesso, non come manager e dirigente ma come uomo e ancor prima come padre. « La dimostrazione all’Italia intera di come ci si deve comportare: lo hanno capito sessanta milioni di italiani. La sua è stata una lezione di vita, con una dignità che farà storia ».
PER SEMPRE. Il calcio, lo sport: laddove, un giorno, almeno sino al tre maggio del 2014, c’era il senso (in)compiuto dell’allegria, la percezione ludica e il piacere di attraversare una passione, ora restano le macerie, una famiglia demolita e però anche un messaggio che Giovanni Malagò recita ad alta voce, affinché l’eco giunga sinanche dove non possono i microfoni.
Perché la piazza è un’enormità, un gigantesco teatro della sofferenza stravolto non solo dall’emozione ma dal caldo asfissiante e quello sì indomabile persino dai volontari che riversano bottiglie d’acqua e inseguono medici per aiutare chi ha accusato malori passeggeri.
Così le parole del presidente Malagò: «Mi è stato detto, quando sono arrivato vicino alla salma di Ciro: bravo presidente, bravo che sei venuto, tu hai le palle. Qui non è questione di palle, ma di rispetto: rispetto a Ciro e ciò che lui rappresenta; rispetto al papà di Ciro, alla famiglia, soprattutto alla mamma, ad Antonella. Rispetto vero».
INDIMENTICABILE . E’ lì che bisognerà restare idealmente però concretamente: tra la gente per cambiarla, tra le istituzioni per scuoterle, nel Paese per educarlo, in quest’Italia da rivoltare come un calzino e servendosi dello sport, del calcio: e per convivere con i tormenti che la morte di Ciro ha scatenato in chiunque, sarà necessario e indispensabile non staccarsi mai dal ricordo, semmai starsene incollati, osservando la figura esile e però resistente di quel «gigante» di Antonella Leardi, alla quale Malagò si rivolge, e poi aggrappandosi a quel ventinovenne della cui morte sarà impossibile farsene una ragione, d’una tragedia che è di Scampia, di Napoli, di quest’Italia alla quale il presidente del Coni indica la strada con un’orazione che non ha nulla di politichese, manco una traccia o un sospiro o una virgola, ma che rappresenta l’umana riflessione perché qualcosa possa seriamente mutare. «Io sono qua perché si deve rispetto a Ciro ed a tutti i suoi, anche a voi. E però è importante quel che faremo non tra un mese, non tra un anno ma per l’eternità ». Per lasciar vivere – e sempre – Ciro Esposito, ventinove anni, il figlio di Antonella, « un gigante della vita », la mamma d’Italia.
Fonte: Corriere dello Sport
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