«Mi sono ricaricato. Anzi, disintossicato». Giovanni Malagò, presidente del Coni dal 19 febbraio 2013, è nella sua stanza al Foro Italico. Ha appena presentato un evento sportivo a Roma per il sostegno alla lotta al cancro e ha ricevuto l’invito da Barack Obama per gli Special Olympics, i Giochi per i disabili mentali, a Los Angeles nel 2015. «Ecco, queste sono le belle notizie dello sport». Le più brutte sono arrivate sei giorni fa da Roma: un tifoso del Napoli ferito a colpi di pistola, le minacce degli ultrà azzurri di non far giocare la finale di Coppa Italia. «Ne siamo usciti mortificati e tramortiti, è stato un forte danno di immagine. Oggi parlavo della “Race for the cure”, la corsa contro il cancro, e i giornalisti mi chiedevano dell’orario di Roma-Juventus». «I fatti dell’Olimpico sono eventi che non si ripeteranno mai più»: lo ha detto il capo della Polizia, Pansa. «Mi fa piacere, la sua opinione è in linea con quella delle più alte cariche dello Stato. Un episodio catastrofico, ma l’allarme non è scattato ora, purtroppo». Ci spieghi, presidente. «Già mesi fa avevo manifestato alcune preoccupazioni ed ecco perché, dopo quanto accaduto in occasione di Fiorentina-Napoli, ho riproposto la mia tesi sul modo per combattere la violenza. È giusto sollecitare l’intervento del mondo dello sport e chiedere alle società calcistiche di recidere i legami con gli ambienti violenti della tifoseria, come ha fatto il presidente Napolitano, ma c’è una prima fase che non riguarda il nostro settore». Come intervenire? «Servono misure thatcheriane, per fare riferimento alle leggi contro gli hooligans applicate dal governo inglese dopo i gravissimi fatti accaduti all’Heysel nell’85, quindi processi per direttissima e sentenze durissime. Non basta il solo Daspo. Soltanto dopo questo intervento si potrà cominciare a parlare di altri aspetti, dai nuovi stadi alle tecnologie, fino a un diverso concetto nel rapporto con le tifoserie. Prima c’è da fare altro: per le malattie gravi e difficili la cura deve essere forte». Il calcio è un ammalato grave? «Il calcio, in questa vicenda, è una vittima, ma deve andare verso un’altra direzione affinché possa avere un’immagine nuova e positiva. Il movimento è migliore di quello che si possa pensare, al di là di certi gruppi minoritari: ha una carica e una forza straordinarie e deve lavorare per recuperarle». Quali tempi immagina per nuove misure antiviolenza, prospettate anche dal ministro dell’Interno Alfano dopo i fatti avvenuti all’Olimpico? «Bisognerà verificare la complessità di queste problematiche: non credo che le cose possano risolversi in tempi tanto rapidi». Quale immagine, quale sensazione, le resta di quella notte all’Olimpico? «In tribuna nessuno capiva cosa stesse accadendo e perché non si cominciasse a giocare. E nessuno avrebbe mai potuto vedere da lassù la scritta su quella maglietta…». Per le violenze di Genny ’a carogna e di altri ultrà il Napoli ha subito un pesante provvedimento: San Paolo chiuso per l’ultima partita di questo campionato e per la prima del prossimo. «Conosco bene Napoli e conosco bene, benissimo, De Laurentiis, ma sono libero da qualsiasi condizionamento affettivo. Ci sono state sentenze della giustizia sportiva che non ho condiviso, ma che ho accettato perché bisognerebbe conoscerne gli aspetti tecnici e formali: il discorso vale sempre». Pensa che possa esserci un grave problema ultrà per il Napoli? «Questa non è una vicenda che riguarda una società o un presidente, ma riguarda le società più importanti perché, con tutto il dovuto rispetto, non credo che Sassuolo e Chievo possano avere certi problemi. D’altra parte, il primo cittadino del nostro Paese ha parlato in senso assoluto e Napolitano è nato a Napoli. Ma c’è un aspetto da cogliere a proposito del mondo ultrà». Quale, presidente? «Non capisco perché, a prescindere, l’ultrà debba essere considerato una persona “permale”, ovvero il contrario di una persona perbene. Uno può essere veramente tifoso e fare, animato da una passione fortissima, cose pazzesche, tipo partire alle tre del mattino e affrontare un viaggio di dodici ore in pullman o rinunciare per due mesi ad andare in pizzeria per risparmiare e seguire la squadra in trasferta. È un amore viscerale, è una fede. L’ultrà non deve essere necessariamente un mascalzone: il sillogismo non va bene. Anche in questi gruppi c’è chi inquina, certo, ma non dimentichiamo la passione e le coreografie che negli stadi rendono le partite più belle». È scattata una nuova fase di emergenza, intanto: Roma-Juve è stata anticipata di tre ore dal prefetto per evitare «possibili criticità per l’ordine e la sicurezza pubblica», come si legge nel comunicato della Lega calcio. «Ma perché prima non c’erano situazioni di emergenza? È da mesi che si spostano le partite, questo è un film già visto… Va detto che c’è qualche altra situazione che incide, ovvero la contemporaneità degli Internazionali di tennis al Foro Italico. C’è un contesto straordinario ed è chiaro che le autorità devono aver fatto una valutazione che porta a risolvere un problema anziché averne un altro». Lei è tifoso della Roma: cosa succederà nella prossima sfida tra Roma e Napoli? «È aberrante ragionare in questi termini, andare a vedere una partita a Roma o Milano dicendosi: “speriamo che non mi succeda niente”. L’ho fatto anche io, quando andavo in altri stadi con le mie figlie piccole. Bisogna voltare pagina e in maniera assoluta, cercando soluzioni che siano irreprensibili». Sembra facile. «Il modo è questo: chi sgarra, paga».
Fonte: Il Mattino
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