L’ha presa alla larga, ci ha girato intorno per un po’, poi alle 18,17 di ieri il messaggio dirompente del presidente del Coni è piombato sul calcio italiano in tutto il suo fragore: «Mi dispiace caro Marcello, ma non sono d’accordo con te. Io la moviola in campo la metterei subito e non accetto l’autoreferenzialità del mondo arbitrale» . Marcello Nicchi, il suo competitor, è rimasto di ghiaccio sulla sua sedia, a soli due metri da Giovanni Malagò, così vicini fisicamente eppure con una filosofia distante anni luce. Il presidente dell’Aia, nel suo intervento precedente, aveva circostanziato con calore e romanticismo il ruolo etico della categoria, finché l’esplosione del nuovo non ha spazzato via il vecchio e pionieristico modo di ragionare. Non si può fermare la tecnologia, non è giusto, non fa bene, è contro la logica. Com’è adesso, il calcio diventa sempre meno fruibile, serve oggettività più che discrezionalità. Probabilmente lo avranno recepito i tanti giovani arbitri presenti al convegno sul tema “Etica e sport”, organizzato dalla sezione Aia di Pescara per il suo 75° compleanno. E magari pure gli studenti del liceo scientifico “da Vinci” la cui aula magna è stata teatro di uno scontro epocale di idee.
CONFRONTO – Malagò è stato l’ultimo a intervenire, prima di lui Nicchi lo aveva incensato con parole al miele, «l’amico Giovanni ha un senso dello sport innato e gode della mia massima stima» , e pure Giovanni era stato tenero con lui, «ho grande rispetto per Marcello, è una persona seria e perbene». Stavolta non balla solo il rapporto personale, è in discussione il futuro del gioco più bello del mondo con tutto quello che gli gira attorno. Perciò, dopo aver preso la parola e scaldato le corde vocali con circonlocuzioni varie, Malagò ha acceso il turbo e non si è più fermato. «Stamattina (ieri, ndc) un importante quotidiano nazionale, il Corriere dello Sport-Stadio, affrontava il tema della moviola, sì o no. Ora, casualmente io e Nicchi ci troviamo affiancati in questo convegno ed è giusto parlarne. Ho apprezzato la sua accorata difesa d’ufficio, tuttavia non bisogna necessariamente essere d’accordo. Non mi piace sentire sempre quanto siamo belli e quanto siamo bravi, che tutto va bene, nessuno che può azzardare una critica, non condivido questa autoreferenzialità».
L’AFFONDO – Quindi cambia argomento, ma solo apparentemente. E’ per puntare dritto al cuore del problema. «Io sono un convinto assertore della lotta al doping, quando Frullani a Sochi è stato trovato positivo mi è crollato il mondo addosso. Lui non si è dopato consapevolmente, per uno che fa il quarto del bob sarebbe da folli, è stato ingenuo ad acquistare un integratore con sostanze lecite, ma senza il bollino. Vi chiederete: che c’entra ora questo con gli arbitri? C’entra eccome, significa che nessuno di noi ai vertici può dire di avere il controllo al 100% di tutti i suoi uomini. Inutile negare che qualche anno fa certi arbitri non si sono comportati bene» . Quindi, la stoccata finale. «Quando Nicchi dice che se saltano le regole salta tutto, posso essere d’accordo, ma se le regole sono sbagliate non ci si può limitare ad applicarle, bisogna cambiarle. La moviola in campo è inevitabile, non deve esserci paura della tecnologia. La consulterebbe l’arbitro in prima persona, valutando se stesso con onestà intellettuale. E’ un processo che arriverà a compimento – conclude Malagò, che rivolto a Nicchi aggiunge – forse non la vedrò io e non la vedrai tu, però quel ragazzo lì in fondo sì – indicando un giovane arbitro in sala – e si chiederà: possibile che non ci abbiano pensato prima?».
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